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Godere di più un buon bicchiere di vino? A volte basta farlo respirare un po’

di Cristiana Lauro

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(New Africa - stock.adobe.com)

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Differenza tra ossidazione e riduzione e tipo di lavorazione dei rossi e bianchi determinano le modalità di apertura di una bottiglia. E non sempre serve il decanter.

22 novembre 2022
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2' di lettura

Quanto tempo prima di essere servita va aperta una bottiglia? Dipende da vari fattori, ma le regole di base sono semplici e molto utili per godere appieno delle sue caratteristiche. Spesso ci avventiamo sul bicchiere senza attendere che il vino si sia ossigenato a contatto con l'aria per qualche minuto. In verità, l'unica verifica immediata andrebbe fatta sul peggiore difetto che possa capitare: il famoso sentore di tappo, che chimicamente è determinato dal tricloroanisolo (TCA), una muffa che produce un'inconfondibile odore sgradevole.

Una volta scampato questo rischio – fortunatamente episodico, ma nel caso irrevocabile – è sempre bene lasciare “respirare” il vino nel calice, senza ricorrere necessariamente al gesto teatrale dell'uso del decanter.
Detto questo, per quanto tempo dobbiamo lasciare il vino nel bicchiere? Come regolarsi? Ad esempio cercando di capire l'importante differenza fra “ossidazione” e “riduzione”, dato che un vino ossidato a contatto con l'ossigeno peggiora, mentre uno ridotto necessita di questa unione per esprimere le sue caratteristiche che, inizialmente, possono sembrare difetti.

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Non serve un libro di chimica, proverò a spiegarmi meglio in parole semplici e chiare per tutti.Partiamo dall'ossidazione che è un segnale di vecchiaia. Succede alle pagine dei libri che col tempo ingialliscono, alle mele sbucciate e anche a noi esseri umani che invecchiando ci ossidiamo. Il riconoscimento delle ossidazioni avviene attraverso un semplice esame visivo e suggerisce di non eccedere nel lasciare una bottiglia aperta a contatto con l'aria. I vini bianchi col passare del tempo diventano dorati, i rosati virano sull'arancione e i rossi sul color mattone.
È un metodo un po' sintetico - ma pratico e funzionale - che rischia il cortocircuito solo in presenza di macerati, orange wine e altre amenità curiosamente in voga negli ultimi anni.

L’ossidazione colpisce ovviamente anche i profumi, i bianchi troppo vecchi o conservati male spesso si riconoscono per eccessivi sentori di miele o buccia di mela, mentre i rossi passano dal dado da brodo fino al Marsala cattivo. Tengo a precisare che il Marsala tra i vini è quello ossidato per eccellenza, ma volutamente prodotto così. Pertanto nel caso del Marsala, quello vero, l'ossidazione non è un difetto ma un tratto positivo.

Per quanto riguarda le riduzioni invece, il colore non fornisce indicatori, quindi per riconoscerle occorre un esame olfattivo. Un vino può restare chiuso in bottiglia anche per diversi anni, ma se conservato in maniera corretta il suo possibile problema è proprio l'assenza prolungata di contatto con l'aria. Inizialmente stappandolo capita di sentire odori strani come di uovo sodo, di formaggio o di minestrone, talvolta nei rossi. Una carrellata di descrittori che nessuno vorrebbe scovare nel proprio bicchiere. Ebbene, questi odori sono riduzioni pertanto quel vino ha solo bisogno di respirare e di risvegliarsi con calma, a differenza di quello ossidato che, come abbiamo detto, peggiora a contatto con l'ossigeno.

Per concludere, una suggestione valida anche per i tempi che corrono, quelli del “tutto e subito” per intenderci. Cerchiamo di aspettare il giusto tempo prima di assaporare il vino, diamogli respiro dopo averlo stappato e non avventiamoci sulla bottiglia. Del resto, come la maggior parte delle cose belle nella vita, anche un buon vino deve farsi desiderare.

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