di Emiliano Sgambato
Il settore delle carni bianche vale 5,8 miliardi di fatturato alla produzione (+3,8% sul 2109)
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Negli allevamenti di polli il 60% dei costi è costituito dal mangime. Non è difficile quindi immaginare le conseguenze negative sui conti degli allevatori causate dai rincari record delle quotazioni del mais (che da solo copre il 40% della razione) e a cui vanno aggiunte l’impennata delle altre commodities e della bolletta energetica.
«L’indice dei costi di produzione complessivi di questo tipo di allevamento, dall’energia ai pulcini fino alla forza lavoro, nei primi tre mesi del 2022 ha fatto registrare aumenti di oltre il 21% su base annua, ma il costo della sola razione media è salita di circa il 33%, con un +40% su base annua ad aprile – conferma Fabio Del Bravo, direttore dei Servizi per lo sviluppo rurale di Ismea –. L’avicoltura insieme ai bovini da latte risulta quindi tra i settori più colpiti, anche se grazie ad una collaudata integrazione di filiera e a marchi forti sul mercato è probabilmente in grado di affrontare meglio di altri lo shock in atto».
«I margini si stanno ovviamente riducendo e le aziende per prima cosa cercano di riassorbire i costi, ma purtroppo non si tratta di un fenomeno temporaneo, perché per ricostruire le scorte di materie prime a livello internazionale ci vorranno alcuni anni e l’assenza di fenomeni avversi, ad esempio dal punto di vista climatico», commenta Antonio Forlini di Unaitalia, l’associazione di produttori di carni bianche e uova che rappresenta un settore da 5,8 miliardi di fatturato alla produzione (+3,8% sul 2019) e che copre per intero il fabbisogno italiano.
«Se è vero che soprattutto le aziende più grandi e con una filiera più strutturata possono resistere meglio alla crisi – precisa Forlini – essere integrati ad esempio nella produzione di mangimi non vuol dire non essere colpiti dai rincari delle commodities e dell’energia. E poi comunque ci sono i produttori più piccoli che sono molto più esposti. In questo momento la difficoltà è sostituire le forniture dalla Russia e soprattutto dall’Ucraina che non sta consegnando a causa del blocco dei porti. Un problema soprattutto per il mais e la soia, in particolare quella non Ogm che in pratica proveniva solo da lì».
Secondo Coldiretti, il Piano dell’Unione europea per salvare i cereali ucraini potrebbe sbloccate circa 30mila tonnellate di grano per la panificazione, 60mila di olio di girasole e, appunto, quasi 200mila tonnellate di mais per l’alimentazione animale destinati all’Italia.
Parte dei costi si sono comunque già trasferiti sulle famiglie: secondo l’Osservatorio Consumi di Ismea-Nielsen, i prezzi al dettaglio delle carni avicole sono cresciuti del 15% rispetto allo stesso periodo del 2021. «In realtà oltre a un ritocco dei listini – nota Del Bravo – c'è stato un taglio delle promozioni con un -20% delle famiglie che ne hanno potuto usufruire, oltre a proseguire lo spostamento degli acquisti verso prodotti a maggior valore come i preparati».
In questo caso la grande distribuzione sembra aver maggiormente recepito le istanze dei produttori rispetto a quello che è successo in altri settori. Ma c’è un fattore ulteriore che ha influito sulla dinamica di mercato: «Abbiamo avuto circa trecento focolai di influenza aviaria – sottolinea Forlini – con un numero di abbattimenti che non si vedeva da oltre vent’anni. Questo calo di disponibilità di carne ha fatto lievitare le quotazioni all’ingrosso, che erano su livelli minimi, e ha favorito l’aumento dei prezzi. L’aviaria paradossalmente ha aiutato a recuperare in parte l’aumento dei costi».
L’inflazione tuttavia potrebbe essere un boomerang anche per i produttori, per via del possibile conseguente calo dei consumi o di una scelta di referenze meno pregiate in un settore che negli ultimi anni aveva visto crescere proprio i prodotti a maggior valore aggiunto (bocconcini panati, cordon bleu, polpettoni, spiedini eccetera). E infatti nello stesso periodo gli acquisti si sono riallineati ai volumi pre pandemia (-11% sul 2021 con una spesa al +5% dovuta ai prezzi più alti). Tuttavia va anche considerato che questo scenario non tiene conto dei consumi fuori casa, in forte ripresa dopo le limitazioni causate dal Covid. «Il nostro è un settore anticiclico – aggiunge Forlini – e quindi in genere i consumi di carni bianche in tempo di crisi tengono». Anche perché i prezzi, seppur in aumento, restano più bassi di altri tipi di carne.
La crisi sembra più netta per le uova, almeno nel commercio al dettaglio: dopo un quinquennio molto positivo con una crescita della spesa di quasi il 20% e un maggiore orientamento dell’offerta e della domanda verso le tipologie bio e allevate a terra, le uova hanno accusato nel 2021 una battuta d’arresto, perdendo circa il 10% sia a volume che a valore. Una tendenza che sta proseguendo anche nei primi tre mesi del 2022 ( -9% in volume e -6,8% in valore.
Emiliano Sgambato
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