di Angelo Flaccavento
Louis Vuitton AI 22-23
3' di lettura
La spensieratezza giovanile, e la libertà che comporta in termini di stile, è una eterna chimera modaiola. Nonostante il deciso espandersi dello spettro delle possibilità, delle età e dei corpi, la mitizzazione della più fugace delle stagioni dell'esistere perdura.
Da Louis Vuitton, Nicolas Ghesquière dedica l'intera collezione alla gioventù, alla poesia irrisolta dell’adolescenza, al romanticismo e idealismo che la caratterizzano. Il messaggio, nemmeno tanto subliminale, è di speranza per il futuro, di augurio di un mondo migliore. Curiosamente, tanto slancio in avanti arriva con un deciso carico di nostalgia: le forme e i volumi ricordano gli anni Ottanta - tempo verosimile dell'adolescenza dell'autore - e così le cravatte, che sulle donne, in passerella, non si vedevano dalle sfilate di Armani prima maniera. La spensieratezza delle sovrapposizioni svagate, con i grossi maglioni di lana legati in vita sulle vestine di seta e le t-shirt da rugby portate sugli abiti da sera, appare del resto affettata invece che spontanea.
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Insomma, è come se la lama stilistica di Ghesquière si fosse spuntata, e la sua capacità di muovere la conversazione modaiola, di influenzare le tendenze (sempre che queste esistano) si fosse assopita in un eterno ritorno di cliché affascinanti quanto asfittici. Lo show, però, ambientato nella galleria principale del Musée d’Orsay - una prima assoluta - è magico.
Stella McCartney (REUTERS/Johanna Geron)
Anche Stella McCartney sceglie un museo: sfila al sesto piano del Centre Pompidou, con vista panoramica su tutta Parigi. E anche Stella sembra aver perso mordente, riducendo il proprio segno a una formula di tutto rispetto, ma di non grande presa. La collezione è un dialogo con l'opera multiforme dell'artista Frank Stella, le cui composizioni policrome diventano stampe su bluse e abiti drappeggiati, e i cui colori pieni sono utilizzati per il tailoring di gusto maschile, che come sempre per Stella dialoga con la femminilità più gioiosa e fresca. L'amalgama, però, non ha l'energia di un tempo, quando Stella sembrava aver catturato un modo di essere donne nel mondo odierno. Uscire dal perimetro del proprio codice è un gesto che richiede coraggio, oggi che le identità dei marchi vivono di codici angusti ma proprio per questo riconoscibili.
Da Sacai, Chitose Abe mette da parte l'estetica dell'ibrido per esplorare territori nuovi: elevati e sofisticati, ma non distanti. I fianchi sono esagerati, i volumi massimizzati e il contrasto di maschile e femminile esacerbato. Issate su zeppe massicce, le sue donne sono vestite di capi archetipi, dal bomber al trench all'abito da ballo al maglione a grosse coste, riletti in volumi couture ma pensati per l'uso quotidiano. Sembrano uscite da una sessione di Avedon o Penn, ma camminano per strada senza bisogno di chauffeur. Il che, a ben riflettere, è anch'esso un ibrido, ma di tipo più concettuale che formale. L'effetto è di grande e terragna eleganza.
Schiaparelli
Ha trovato il suo equilibrio dentro Schiaparelli Daniel Roseberry, che, un colpo ai surrealismi della casa - bijoux magici e accessori pieni di sorprese - un colpo ai seni a cono di Gaultier e al suo immaginario elegantemente fetish, ha riportato questo marchio dormiente dentro i territori del desiderio. Non tutto è originale, ma la mischia degli ingredienti lo è, quindi la si apprezza.
Giambattista Valli (Photo by Geoffroy VAN DER HASSELT / AFP)
Giambattista Valli, in fine, si conferma paladino di una idea di bellezza insieme tangibile e ineffabile che è un continuo e psicologico omaggio alla libertà della donna parigina, vista attraverso gli occhi di un italiano che qui si è ormai naturalizzato. Apre un abitino corto e bianco, nitido e geometrico, chiude lo spumeggiare di volant di tulle, e in mezzo è una teoria di stili e di tipi femminili la cui bellezza è nella libertà di vivere il corpo e il vestito. L'eleganza, poi, è nel modo e nel gesto, anche con la più rivelatrice delle mini.
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