di Davide Madeddu
Portovesme, operai in protesta su una ciminiera a 100 metri di altezza
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A cento metri di altezza per salvare la fabbrica di piombo e zinco della Glencore. Nuova protesta nel polo industriale di Portovesme nel Sulcis nella fabbrica metallurgia che il gruppo svizzero gestisce attraverso la controllata Portovesme srl e in cui lavorano 1300 persone dirette più gli appalti.
Il blitz intorno alle sette di mattina nel fumaiolo alto 100 metri e denominato kiwicet e considerato simbolo della fabbrica quando quattro lavoratori hanno occupato la parte interna della struttura. La protesta, accompagnata all’esterno da un presidio di lavoratori diretti e degli appalti è scattato un’ora prima che iniziasse lo stop, previsto per le otto, agli impianti e partisse la Cig per i 1300 dipendenti.
Tutta la vicenda ruota attorno ai costi energetici, che la fabbrica, specializzata nella produzione di piombo, zinco, oro, argento, rame e acido solforico tra l’impianto di Portovesme e quello di San Gavino, passati dagli iniziali 47 euro a megawattora a cifre che hanno raggiunto anche i settecento euro a megawattora. Una situazione che ha spinto l’azienda a ridurre progressivamente la produzione e avviare un piano di razionalizzazione con il ricorso alla cassa integrazione per circa 600 dipendenti a rotazione.
Con il tempo, nonostante la mobilitazione, la situazione non è migliorata. A dicembre l’annuncio del ricorso alla cassa integrazione per tutti i lavoratori e lo stop agli impianti dal 1 febbraio 2023. Situazione respinta dalle organizzazioni sindacali cui sono seguite una serie di interlocuzioni istituzionali. L’ultima a gennaio con la Regione. In quell’occasione i vertici della Portovesme Glencore hanno deciso, dopo l’impegno della Regione e in attesa di soluzioni, di rinviare lo stop e l’avvio della Cig dal 1 febbraio a marzo.
«Le interlocuzioni e gli impegni assunti dalla Regione per una soluzione da concretizzare con un accordo tra Azienda e fornitore di energia non hanno portato a nulla - annunciano i sindacati - e in questo contesto è esplosa la protesta». La strada per risolvere il problema sarebbe dovuta passare per la sottoscrizione di un accordo bilaterale tra l’azienda e il fornitore di energia. Soluzione auspicata e supportata dalla stessa Regione. «A oggi non c’è ancora nulla - annunciano i sindacati - e dalla Regione ci aspettiamo un’assunzione di responsabilità».
Ora la protesta si sposta a cento metri d’altezza, nel fumaiolo che sovrasta la fabbrica, unico presidio ancora attivo, nel polo industriale del Sulcis. I lavoratori sollecitano un intervento immediato della Regione affinché ci possa essere una mediazione e si arrivi quindi a una soluzione con la firma di un accordo bilaterale per l’acquisto dell’energia elettrica a prezzo calmierato.
«A oggi i livelli istituzionali non hanno messo in campo nessuna iniziativa finalizzata a modificare le azioni dell'azienda - si legge nel comunicato diffuso durante l’occupazione -. Le procedure di Cassa Integrazione sono partite mettendo addirittura in taluni casi i lavoratori gli uni contro gli altri, come si è potuto constatare in questi giorni negli appalti, anello debole del sistema produttivo che andrebbe maggiormente tutelato così come i lavoratori somministrati. Di fronte a nessuna condotta risolutiva siamo costretti a mettere in campo un'azione rilevante per porre al centro la vertenza energia in quanto la soluzione non può essere la mortificante cassa integrazione, nella migliore delle ipotesi, ma il lavoro dignitoso».
Fuori dai cancelli l’altra parte della protesta con i lavoratori degli appalti in presidio da due giorni. Si sollecitano soluzioni anche per chi lavora nelle imprese indirette la cui esistenza è strettamente collegata all’andamento dell’azienda madre.
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