di Marco Ferrando
I sindacati guardano al "Risiko" delle banche: "Sia un'opportunita'"
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Unicredit apre le trattative sul Monte dei Paschi. Dopo quelle informali dell’ultimo anno, avviate da Jean Pierre Mustier dopo l’assalto di Intesa Sanpaolo a Ubi, è l’ora di quelle ufficiali. Premessa di un’acquisizione-salvataggio che a questo punto pare tutta da discutere ma almeno alla portata.
D’altronde la banca è reduce da un semestre superiore alle attese, con un utile netto a 1,03 miliardi di euro, più che raddoppiato rispetto ai 420 milioni dello stesso periodo dell'anno scorso. Il dato è superiore al consensus del mercato che si fermava a 736 milioni. Per l’intero 2021 il gruppo prevede di raggiungere un utile netto “sottostante” al di sopra dei 3 miliardi di euro e un payout pari al 50%, cardini del piano industriale che sarà presentato nel quarto trimestre 2021.
«Unicredit ha fondamenti robusti che poggiano sulla sua impronta geografica unica, sulla forza della rete distributiva e sulla solidità del bilancio. Questi elementi costituiscono una base eccellente per migliorare i risultati e creare valore di lungo termine per tutti i nostri azionisti», ha detto Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, commentando i conti del semestre, i primi dal suo arrivo. Premessa per quanto avvenuto ieri, quando il cda presieduto da Pier Carlo Padoan (che sul punto si è astenuto) ha approvato l’avvio delle trattative con il Mef in vista dell’eventuale acquisizione di una parte degli asset del gruppo. È solo il primo passo, preliminare e non vincolante, per un’integrazione della banca controllata dal Tesoro, tenuto a uscirne entro l’inizio del 2022 per onorare gli impegni presi con Bruxelles. Ma è quanto basta a sbloccare un’impasse che durava da mesi, e a disinnescare con qualche ora di anticipo l’effetto della pagella che arriverà nella serata di oggi dopo gli stress test condotti da Eba e Bce. Una pagella che probabilmente vedrà in capo a Mps un’elevata carenza di capitale, attesa nell’ordine dei due miliardi.
La decisione del Tesoro, ma soprattutto di Andrea Orcel, di uscire allo scoperto e di porsi nella condizione di dover spiegare al mercato un’operazione che ha sempre ritenuto indigesta, dimostra che i presupposti per un esito positivo ci sono. Tuttavia, i 40 giorni di due diligence e di trattativa che si aprono ora non saranno una passeggiata: Piazza Gae Aulenti dovrà decidere non solo quali parti di Mps assorbire, ma anche se stare o uscire dalla partita.
Alcuni punti sono stati già discussi e assodati: l’operazione non dovrà impattare sul capitale di UniCredit (su cui le Dta, i crediti d’imposta, saranno determinanti), che non si prenderà in carico né i rischi legali né gli npl. Andranno poi coperti (dallo Stato, ovviamente) «eventuali ulteriori rischi di credito che siano identificati anche a seguito della due diligence» e «la gestione del personale in funzione del compendio inerente all’esercizio delle attività commerciali, al fine di assicurare un’integrazione agevole, rapida ed efficace del business nel Gruppo». Qui l’impianto dell’operazione ricorda quello delle ex popolari venete accorpate da Intesa nel 2017.
Ma allora Ca’ de Sass si prese tutto meno una parte, qui si procederà all’inverso. Facendo una cernita. Di certo UniCredit punta all’intera rete commerciale: Mps, si legge nella nota, potrà infatti conferire «3,9 milioni di clienti, 80 miliardi di crediti alla clientela, 87 miliardi di depositi, 62 miliardi di masse in gestione e 42 miliardi di masse in amministrazione», in un’operazione che consentirà al gruppo di rafforzarsi «in particolare nel Centro-Nord, dove si trova il 77% degli sportelli di Mps, contribuendo fra l’altro a una crescita della quota di mercato in Toscana di 17 punti percentuali, in Lombardia e in Emilia Romagna di 4 punti percentuali e in Veneto di 8 punti percentuali». Più incerta la sorte del marchio («Valuteremo la possibilità di acquistarlo», ha risposto Orcel a una domanda de Il Sole 24 Ore) e della direzione di Siena: «Abbiamo appena iniziato l’analisi, faremo in modo di minimizzare le sovrapposizioni», ha anticipato il manager appena arrivato alla guida del gruppo. Che a distanza di due settimane dalla lettera inviata ai dipendenti in cui si diceva pronto a concentrarsi sulla crescita interna, nei fatti si è aperto subito una strada alternativa.
Una tentazione irresistibile, se è vero che l’operazione - evidentemente considerata funzionale al piano atteso per ottobre - potrà consentire al gruppo di « accelerare i piani di crescita organica e agevolare il raggiungimento di ritorni sostenibili superiori al costo del capitale». Ma è qui che si dovrà trovare la quadratura del cerchio, da cui potrebbe uscire anche un nuovo azionista per Gae Aulenti, il Tesoro. Un dato è certo: da tanto, troppo tempo si parla delle nozze UniCredit-Mps, il mercato pretenderà una soluzione all’altezza della complessità esecutiva che comporta e della pesante eredità che la banca più antica del mondo ha accumulato nella sua storia recente.
Tornando ai conti presentati in mattinata, nel secondo trimestre il margine di intermediazione complessivo è salito a 4,39 miliardi (+5,5%), con un margine di interesse in calo a 2,2 miliardi (-8%) che ha risentito, tra le altre cose, «del minore rendimento relativo ai prestiti garantiti dallo Stato e della continuata competitività del mercato» e commissioni salite a 1,67 miliardi (+21,4%) «grazie alle forti vendite lorde di prodotti assicurativi e di risparmio gestito». I costi sono stabili su base annua e pari a 2,5 miliardi (+0,8%), con un rapporto cost-income al 56%. Le rettifiche sui crediti sono pari a 360 milioni (-61,6% anno su anno). Il rapporto tra crediti deteriorati lordi e totale crediti lordi è stabile al 4,7%, mentre il Cet1 ratio “fully loaded” è pari al 15,5%, con un costo del rischio contabile che si attesta a 33 punti base.
Marco Ferrando
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