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Tutta la storia di Evan Gershkovich, il giornalista che amava la Russia

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(AFP)

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Il Wall Street Journal, i suoi colleghi e l'amministrazione Biden negano l'accusa che lo vorrebbe spia per conto degli Stati Uniti e chiedono la sua liberazione immediata

11 aprile 2023
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9' di lettura

Poco prima di pranzo, mercoledì 29 marzo, un collega scrive a Evan Gershkovich un messaggio: «Ehi amico buona fortuna oggi». Il giornalista risponde «Grazie fratello ti farò sapere come va». È prima di pranzo, poi nel pomeriggio un altro contatto con il giornale poi più niente. Evan Gershkovich, il giornalista del Wall Street Journal arrestato per spionaggio in Russia, si trovava in una steakhouse nella città russa di Ekaterinburg. Per il corrispondente, si trattava del secondo viaggio negli Urali nell'ultimo mese. Come racconta un lungo articolo del Wall Street Journal pubblicato il 31 marzo, poche ore dopo, la redazione del quotidiano finanziario cercava di rintracciare i contatti di Gershkovich a Ekaterinburg, Mosca e Washington: secondo un vago post su Telegram, agenti di sicurezza avevano prelevato da una steakhouse di Ekaterinburg un commensale con il cappuccio alzato.

Alle 10:35 di giovedì mattina, ora di Mosca, un articolo dell'agenzia di stampa statale russa riportava che Gershkovich era stato arrestato e accusato di spionaggio dal Servizio di Sicurezza Federale, l'FSB, i servizi che una volta erano chiamati KGB. È la prima volta dopo la fine della Guerra Fredda che la Russia arrestava un giornalista straniero con l'accusa di spionaggio. Le immagini trasmesse dalla televisione di Stato russa mostravano Gershkovich scortato da agenti dell'FSB in borghese, in blue jeans scoloriti e scarpe da ginnastica, una mano con un guanto nero intorno al collo curvo.

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In fuga dall’Unione Sovietica

Gershkovich, 31 anni, americano, è figlio di esuli ebrei, scappati dall’ex Unione Sovietica poi stabilitisi nel New Jersey. Era innamorato della Russia: della sua lingua, delle persone che incontrava nelle capitali regionali, con cui parlava per ore, dei gruppi punk che frequentava nei bar di Mosca. Ora, con l'accusa di spionaggio, rischia una condanna fino a 20 anni di carcere.

Il suo datore di lavoro, i suoi colleghi e l'amministrazione Biden negano l'accusa che lo vorrebbe spia per conto degli Stati Uniti e chiedono la sua liberazione immediata. Diplomatici ed esperti legali hanno poche speranze che Gershkovich venga liberato in tempi brevi, considerato che i processi per spionaggio in Russia sono condotti in segreto e quasi sempre si concludono con una condanna.

Era in Russia da cinque anni e mezzo: all'arrivo di Gershkovich, la libertà di stampa stava svanendo. Il giornalista trascorreva i fine settimana a discutere di musica, di politica e delle notizie del giorno nella banya, o sauna, ed era sempre pronto ad aiutare giornalisti della concorrenza. I suoi amici russi lo conoscevano non come Evan ma come Vanya.

Coprì notizie come gli incendi boschivi che nel 2021 devastarono la remota regione siberiana della Yakutia, ma lui rimase nella regione ben più a lungo degli altri giornalisti, dormendo in una tenda nel bosco per quattro giorni quando gli altri erano già tornati a Mosca. Conquistò la fiducia degli studenti di medicina del primo anno, passando molto tempo con loro nei reparti Covid, dove gli rivelarono di essere stati arruolati dopo poche settimane di tirocinio per curare una marea di pazienti.

Un gioco geopolitico pericoloso

«Voglio solo raccontare quello che sta veramente accadendo», diceva agli amici. Gershkovich, scrivono i due giornalisti del Journal, potrebbe invece trovarsi invischiato in un gioco geopolitico che sta diventando sempre più comune: l'imprigionamento di cittadini americani da parte di governi stranieri che vogliono usarli come merce di scambio.

Gli Stati Uniti a dicembre hanno rilasciato il trafficante d'armi russo Viktor Bout in cambio della stella del basket femminile statunitense Brittney Griner, che le autorità russe avevano arrestato nei giorni precedenti all'invasione dell'Ucraina nel febbraio 2022. Griner era stata condannata a nove anni di carcere da scontare in una colonia penale dopo essere stata trovata in possesso di olio di cannabis nel suo bagaglio. L'accusa era di contrabbando e possesso di sostanze stupefacenti.

Giovedì 30 marzo, il coordinatore strategico del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby ha detto che non è chiaro se la detenzione di Gershkovich sia stata coordinata con la leadership russa o se rappresenti una forma di ritorsione. Il mese scorso, nel tribunale distrettuale degli Stati Uniti a Washington D.C. un cittadino russo è stato incriminato con le accuse di spionaggio al servizio di una potenza straniera e di frode bancaria, telematica e in materia di visti, secondo quanto riferito dal Dipartimento di Giustizia americano.

La detenzione di Griner ha messo fine a decenni di cooperazione nello sport tra Russia e Stai Uniti. L'incarcerazione di Gershkovich ha rimesso in discussione l'idea che giornalisti, autori e ricercatori americani possano lavorare in Russia e studiare questo paese vasto e complicato, e il suo crescente conflitto con l'Occidente. Quasi tutti i giornalisti occidentali hanno abbandonato la Russia, un esodo accelerato dall'arresto di Gershkovich.

Gershkovich, a cui non è stato concesso l’accesso all’avvocato assunto dal Journal, è detenuto nella prigione di Lefortovo dell'FSB, dove le autorità russe detengono la maggior parte delle persone accusate di spionaggio. Anche Paul Whelan, un ex-marine americano arrestato nel 2020 con accuse simili, è stato inizialmente detenuto lì. Whelan sta scontando una condanna a 16 anni in una colonia carceraria.

La biografia di Gershkovich ripercorre gli sforzi di Putin per ricostruire un impero sopra l’ex Unione Sovietica, una patria da cui i suoi genitori erano fuggiti solo perché il loro figlio americano tornasse e finisse nel tipo di prigione che avevano imparato a temere.

Affascinato dalla Russia

La Russia affascinava Gershkovich sin dall’ infanzia, quando si parlava russo in casa, a New York e nel New Jersey. A 22 anni la madre Ella era fuggita dall'Unione Sovietica utilizzando documenti israeliani. Era stata la madre di Ella, un'infermiera ucraina sopravvissuta all'Olocausto, a portarla oltre la Cortina di Ferro. La nonna di Gershkovich scoppiava in lacrime quando parlava dei sopravvissuti ai campi di sterminio che, alla fine della seconda guerra mondiale, aveva curato in un ospedale militare polacco. Prima di fuggire, le era giunta voce che gli ebrei sovietici stavano per essere deportati in Siberia.

Anche il padre di Gershkovich, Mikhail, lasciò l'Unione Sovietica durante la stessa ondata migratoria ebraica. I due si conobbero a Detroit e si trasferirono poi nel New Jersey, dove Evan e la sorella maggiore, Dusya, sono cresciuti.

In alcuni suoi articoli, Gershkovich racconta delle superstizioni russe di sua madre: non si poteva fischiare né aprire ombrelli in casa e non si potevano appoggiare chiavi o portafogli sul tavolo da pranzo. Nel 2018 scrisse di come, a casa sua, non si mangiassero macaroni and cheese ma la pasta al burro; si guardasse il cartone animato sovietico “Nu, pogodi!” con protagonisti un lupo e una lepre invece della serie americana “Hey Arnold!” ; e di come si parlasse russo e non inglese. La vita russa «era solo una replica, ma io volevo disperatamente mantenerla» ha scritto Gershkovich.

A scuola, un liceo statale di Princeton, Gershkovich era un ottimo studente e un appassionato giocatore di calcio. Nel suo ultimo anno di liceo capitanò la squadra di calcio della scuola, portandola a vincere un campionato statale. Wayne Sutcliffe, insegnante di educazione fisica e tuttora allenatore di calcio della scuola, dice di ricevere in continuazione messaggi dagli ex-compagni di squadra di Gershkovich. «Tutti stanno cercando di trovare un modo per aiutare la famiglia di Evan» dice.

Gli inizi nel giornalismo

Gershkovich si laureò a Bowdoin, un college di arti liberali nel Maine, nel 2014. Si trasferì a New York per lanciarsi nel giornalismo. Per pagare i debiti universitari lavorò come cuoco per un'azienda di catering, andando per locali dopo il turno di lavoro con ben sette coltelli da cucina addosso. Nel 2016, fu assunto dal New York Times come ricercatore, un primo lavoro da sogno. Lavorò lì finché un dipendente del Times non gli chiese perché non usasse la sua conoscenza del russo per raccontare uno dei paesi più difficili del mondo per i giornalisti. Gershkovich esitò, non essendo convinto di voler lasciare un posto di lavoro nella sede del New York Times. Poi si lanciò. Arrivato in Russia, fu assunto dal Moscow Times, un giornale in lingua inglese che, sebbene in difficoltà, era stato a lungo un terreno di formazione per corrispondenti dalla Russia di alto profilo. Gershkovich entrò a far parte di una squadra di giovani giornalisti che diedero vita alla redazione. «Amava la Russia e voleva fare il corrispondente da qui» ha detto Pjotr Sauer, un collega del Moscow Times ora al Guardian.

La madre di Gershkovich racconta che, durante questo periodo, il figlio divenne più interessato alle proprie radici russe ed ebraiche. Un giorno, decine di anni dopo la caduta del comunismo, lo portò in un edificio che da adolescente aveva avuto paura di visitare: una sinagoga. Le era stato detto che chiunque fosse entrato lì sarebbe stato fotografato e trattenuto dai servizi segreti.

Vita da corrispondente

Gershkovich vinse vari premi per il suo lavoro al Moscow Times. Poi passò all'Agence France-Presse. Viaggiò per la Russia occupandosi di argomenti che stavano fuori dai sentieri battuti, compresi i problemi ambientali come la scomparsa dei salmoni dal fiume Amur. In un altro articolo, raccontò degli sforzi spesi per salvare le lingue minoritarie della Russia.

Nataliya Vasilyeva, corrispondente del quotidiano britannico Telegraph, si ricorda del giorno in cui Gershkovich partecipò a una conferenza stampa tenuta da un candidato che sfidava Putin nelle elezioni presidenziali del 2018, un ex capo di un'azienda agricola collettiva. Seduto per terra, Gershkovich gli parlò con linguaggio informale, un faux pas che suscitò sorrisi da parte del candidato e degli altri giornalisti presenti nella sala.

Indossando jeans scoloriti, Gershkovich incontrava spesso amici e colleghi al Veladora, un ristorante messicano del centro di Mosca, e in un bar kitsch noto per avere la migliore cheesecake della città, che ormai era diventato la sua seconda casa. Nell'appartamento che divideva con coinquilini russi, ascoltava a tutto volume brani rock russi degli anni '90 e suscitava risate quando chiedeva di ascoltare canzoni rock di nicchia di gruppi come i DDT.

Alla fine del 2021, ha ricordato in seguito Gershkovich, un collega lo trovò in un bar mentre faceva domanda per un posto di corrispondente al Wall Street Journal. Gershkovich inclinò il suo computer per mostrargli il modulo di domanda, come per incoraggiarlo a fare lo stesso. Fu assunto nel gennaio 2022. Un mese dopo, la Russia invase l'Ucraina e Gershkovich andò al confine tra Bielorussia e Ucraina. Fu così l'unico reporter americano a vedere i primi feriti delle forze russe che venivano riportati a casa. «Scrivere articoli sulla Russia ora significa anche vedere persone che conosci essere rinchiuse in prigione per anni» scrisse su Twitter a luglio.

Quando le cose cambiano in Russia

Le sue visite alla sauna di Mosca rispecchiavano l'umore sempre più cupo del paese. Un giorno, verso la fine del 2022, un altro cliente della sauna lo sentì parlare inglese e gli disse: «Smettila di parlare quella fottuta lingua». Gershkovich pensò per un minuto, poi rispose in russo: «Questo è un paese multilingue». L'uomo si fermò, poi disse di nuovo: «Ma l'inglese non è una di queste».

Mosca, secondo lui, assomigliava sempre di più alla Russia degli anni '90, caotica e in preda alla criminalità, mano a mano che le sanzioni promosse dagli Stati Uniti limitavano i settori dell'economia più orientati verso l'Occidente. Passava ore, fino a tarda sera, a discutere con colleghi, amici e fonti su come raccontare la storia di un paese che era in guerra con il suo vicino a Ovest. «È una costante crisi morale. Si discute di ogni articolo», racconta Polina Ivanova, corrispondente del Financial Times e amica di Gershkovich. «Evan parlava di cosa significava occuparsi della Russia piuttosto che dell'Ucraina. È una cosa molto difficile da comprendere e da collocare in relazione alla propria identità personale». Durante un reportage, Gershkovich fu seguito da diversi agenti di sicurezza russi, alcuni dei quali filmarono i suoi movimenti con una telecamera e fecero pressioni sulle sue fonti affinché non gli parlassero. Dava per scontato che il suo telefono fosse sotto sorveglianza. Durante un altro viaggio, nella regione occidentale di Pskov, fu seguito e filmato da uomini non identificati.

Il 29 marzo, quando Gershkovich si recò a Ekaterinburg, una città degli Urali a circa 1.500 km a est di Mosca, il suo telefono, così come quello di molti corrispondenti del Journal, era dotato di una applicazione GPS che permetteva ai suoi colleghi di seguirne i movimenti. Thomas Grove, reporter del Journal che a lungo ha seguito la Russia ed ora si occupa della Polonia, mentre stava andando a cena fuori, a Varsavia, notò che da molte ore Evan non mandava messaggi. Alle 19,12 Grove inviò un messaggio a uno dei responsabili della sicurezza del Journal: «Sei stato in contatto con Evan?». «Ci sto lavorando». «Il telefono è spento». Grove chiamò un conoscente di Gershkovich per chiedergli di passare in macchina dall'appartamento in cui stava Gershkovich. Le finestre erano al buio. Mentre Grove era al telefono, l'uomo spense il motore e suonò il campanello. Lo suonò di nuovo. La mattina dopo, troupe di giornalisti russi intravidero Gershkovich che veniva scortato vicino alla tromba delle scale, con la testa sotto la giacca.


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