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«A Chiara», uno dei film italiani più intensi dell'anno

di Andrea Chimento

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Una scena dal film “A Chiara”

Una scena dal film “A Chiara”

Nelle sale il nuovo lungometraggio di Jonas Carpignano, potente racconto di formazione presentato all'ultimo Festival di Cannes

8 ottobre 2021
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2' di lettura

Il cinema italiano è grande protagonista in sala: dopo «Tre piani» di Nanni Moretti, uscito un paio di settimane fa, è arrivato il turno di «A Chiara» di Jonas Carpignano, film tra i più interessanti del weekend al cinema.

Presentato alla Quinzaine des Réalisateurs dell'ultimo Festival di Cannes, «A Chiara» è la chiusura di un'ideale trilogia che il giovane regista classe 1984 ha ambientato in Calabria, dopo «Mediterranea» del 2015 e «A Ciambra» del 2017, film quest'ultimo con cui il nuovo capitolo ha davvero molto in comune.

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Anche in questo caso siamo di fronte a un racconto di formazione, seppur al femminile, con una ragazza che si trova da un giorno all'altro costretta a cercare di capire quale potrà essere il suo futuro: Chiara è una quindicenne che scopre all'improvviso che il padre tanto amato è un affiliato della ‘ndrangheta e, da quel momento, tutto il suo universo sembra drammaticamente crollare.

Come nei suoi lavori precedenti, Carpignano ha dato vita a un film di finzione fortemente mescolato con il linguaggio documentaristico, essendosi anche basato su esperienze delle persone del luogo.

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Una scena dal film «A Chiara»

La conferma di un grande talento

Aperto da una sequenza di grandissima forza estetica, «A Chiara» è la conferma del grande talento di Carpignano, che si mantiene sui livelli del suo lungometraggio del 2017, riuscendo ancora a dare vita a un prodotto realistico e allo stesso tempo capace di empatizzare con lo spettatore.

Il coinvolgimento è dovuto soprattutto all'uso notevole e maturo della macchina da presa, perennemente dinamica ed efficace nel regalare al pubblico una vera e propria esperienza immersiva all'interno del nucleo familiare protagonista.La struttura narrativa è molto semplice e alcuni passaggi non abbastanza incisivi, ma nel complesso il film funziona, riesce a far riflettere e a regalare momenti di grande cinema e di ottima recitazione.

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Da segnalare che «A Chiara» ha vinto il premio Europa Cinema Label del Festival di Cannes nella sezione Quinzaine des Réalisateurs.

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Una scena dal film «L'uomo che vendette la sua pelle»

L'uomo che vendette la sua pelle

Arriva invece dalla Mostra di Venezia 2020 l'altrettanto atteso «L'uomo che vendette la sua pelle» di Kaouther Ben Hania, regista tunisina che si era fatta conoscere con «La bella e le bestie».

Protagonista è un giovane siriano che fugge dalla guerra lasciando il suo paese per il Libano. Per poter arrivare in Europa e vivere con l'amore della sua vita, accetta di farsi tatuare la schiena da uno degli artisti contemporanei più importanti del mondo. Trasformando il proprio corpo in una prestigiosa opera d'arte, finisce però per rendersi conto che la sua decisione potrebbe non significare la libertà.

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Una scena dal film «L'uomo che vendette la sua pelle»

Arrivato alla nomination all'Oscar come miglior film internazionale, «L'uomo che vendette la sua pelle» è uno dei lungometraggi più originali e capaci di incuriosire degli ultimi mesi. Non si tratta soltanto di un film politico, ma di un prodotto efficace nel ragionare sul “corpo” e sulla sua esposizione del mondo di oggi.Riflettendo in maniera talvolta piuttosto brutale sull'universo dell'arte contemporanea, il film è anche un potente inno alla libertà, che inizia col freno a mano tirato ma che poi cresce col passare dei minuti, arrivando a un finale davvero riuscito e ben pensato.

È un lungometraggio dolceamaro, contemporaneo nell'estetica e intrigante nella sceneggiatura, che ha nel cast una Monica Bellucci decisamente sorprendente e distante dai suoi ruoli abituali.

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