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Se la politica si dimentica della casa

di Marco Marcatili

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(ANSA)

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2 marzo 2018
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3' di lettura

In una campagna elettorale condizionata da indolenza e risentimento, c’è un grande assente: la casa. Tutte le forze politiche e i rappresentanti locali al Parlamento sfoggiano le proposte più disparate sull’economia, sulla sicurezza, sull’ambiente, ma non potendo più giocare ricette miracolistiche sulla casa non esprimono una nuova visione politica e strategica coerente con i fabbisogni abitativi del futuro e i cambiamenti generazionali in atto.

La casa è stato indubbiamente il collante comune per la “costruzione” di una cultura del Paese, oltre che il principale motore della crescita economica insieme all’industria, ma questa latitanza – che probabilmente esula dalle legittime logiche del tatticismo politico – mostra una scarsa consapevolezza su uno dei temi più decisivi per la tenuta economica e sociale del Paese. Quando si pensa all’abitazione nelle famiglie italiane si materializzano ricordi, sorrisi, sacrifici e rimpianti; tuttavia la “Casa” può diventare oggi una delle poche chiavi reali per leggere frammenti della vita futura, delle relazioni intergenerazionali e del rinnovato rapporto tra spazio e contesto.

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Per dirla alla Luca Molinari (“Le case che siamo”, Nottetempo, 2016), la casa è ancora il primo bene che ci fa proprietari, o è il giovane sogno borghese finito insieme al boom? Per la generazione Z o dei centennials (nati dalla seconda metà degli anni novanta) quale forma e ruolo assumerà l’abitazione nell’epoca della sharing economy (affitto della casa con AirBnB, condivisione degli spazi comuni in co-housing o dell’ufficio in un ambiente di co-working, utilizzo di Blablacar, creazione di un orto di condiminio o di quartiere)? In un Paese dove l’incidenza degli over 65 sul totale della popolazione risulta del 19,2% (2016) e passerà al 23,9% (2030), moltiplicheremo le “case di riposo” o diventerà strategico promuovere una longevità attiva e una residenzialità che consenta all’anziano una vita autonoma?

Non ci sono ancora risposte definite a queste domande, certamente alcune città stanno sperimentando interessanti micro-soluzioni, ma attorno alla “Casa” (di chi ce l’ha già, di chi l’ha perduta, di chi non potrà mai averla, di chi non vorrà mai comprarla) può giocarsi una seconda “ri-costruzione” (culturale, sociale, economica, contestuale) su cui far maturare per il Paese un senso di orientamento e nuovi obiettivi comuni.

Dal 2007 a oggi la quota di investimenti privati sul Pil in Italia è passata dal 21,6% al 17,1%. Mancano all’appello 70 miliardi di euro ogni anno e l’incidenza residenziale risulta molto elevata tra ostacoli, disaffezione e disorientamento. Ad oggi sarebbero 2,3 milioni gli italiani potenzialmente interessati all’acquisto di una abitazione (nuova, usata, da ristrutturare), tuttavia le attuali condizioni di accesso al credito consentono solo a meno di un quarto di esse (530mila nel 2017) di accedere all’acquisto. A livello nazionale registriamo 30 milioni di unità abitative, di cui 17 milioni costruite prima degli anni ’70 – quando sono state emanate le prime norme sull’antisismica (legge 1086 del 1971) e sul risparmio energetico (legge 376 del 1976) – e 2 milioni di abitazioni percepite dalle famiglie in stato di “pessima conservazione”. Rispetto ad un fabbisogno stimato di riqualificazione (energetica e sismica tout court) di 250 miliardi, le famiglie investono solo 5-6 miliardi l’anno nonostante gli incentivi fiscali. Infine, con riferimento allo stock di alloggi pubblici o a canone calmierato siamo uno dei Paesi più sottodotati in Europa, nonostante le evidenze sulla domanda siano inequivocabili. In Italia ci sono 4,8 milioni di famiglie “non proprietarie” di case. Di queste solo 700mila vivono in alloggio pubblico, mentre la prevalenza di famiglie in alloggio privato risulta per il 41,8% in “disagio” (ovvero, la quota dell’affitto è superiore di un terzo rispetto al reddito famigliare).

In questo senso se per la “casa che siamo stati” abbiamo assistito a un ampio spazio negli ultimi venti anni di campagne elettorali, per la “casa che saremo” è ancora aperta la ricerca di una finestra di pensiero comune e di un’agenda politica che supporti (anche sul piano normativo e fiscale) la sperimentazione di soluzioni sul mercato.

Economista e Responsabile Sviluppo Nomisma

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