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Aziende a caccia di profili tecnico-scientifici, ma non si trovano candidati

di Gianni Rusconi

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(M.Gove - Fotolia)

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In Italia solo il 24,5% di chi consegue la laurea ha queste caratteristiche, ma limitando il conteggio alle sole figure femminili ci si ferma al 15%.

26 settembre 2022
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3' di lettura

“Puntare su un approccio in cui scienza e tecnologia si integrano con materie umanistiche e artistiche sarà fondamentale per affrontare le grandi sfide odierne e future”. Non ha usato troppi giri di parole il Presidente di Fondazione Deloitte, Guido Borsani, nel presentare a metà luglio la seconda edizione dell'Osservatorio STEM “Rethink STE(A)M education - A sustainable future through scientific, tech and humanistic skills” promosso dalla stessa Fondazione.

E se ne può abbastanza facilmente intuire il motivo: il fabbisogno di profili professionali STEM (science, technology, engineering, mathematics) è in aumento ma i laureati in discipline scientifiche continuano a essere poco più di un quarto del totale (il 26% per la precisione) nei Paesi europei oggetto della ricerca, e cioè Italia, Spagna, Malta, Grecia, Regno Unito, Francia e Germania. Nel nostro Paese in particolare, come suggerisce molto chiaramente la nota che accompagna lo studio, la situazione è ancora peggiore: solo il 24,5% di chi consegue la laurea è STEM e limitando il conteggio alle sole figure femminili ci si ferma al 15%.

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A destare preoccupazione è il fatto che si tratta di una tendenza che negli ultimi cinque anni si è mantenuta costante e senza variazioni in positivo, se non per l’eccezione della Germania, dove sei laureati su dieci (4 maschi e 2 femmine) possiedono un titolo di studio tecnico-scientifico. E l’effetto di questa latenza di profili con tali competenze è quanto mai impattante sulle dinamiche di ricerca di nuove risorse da parte delle imprese, con circa il 44% delle aziende italiane pronte ad ammettere di avere avuto difficoltà a trovare candidati con una formazione STEM.

Quali sono i principali ostacoli che osteggiano i giovani nell'intraprendere un percorso di formazione in queste discipline? Lo studio evidenzia come i problemi inizino a presentarsi nei gradi di istruzione inferiore e si riflettono in modo particolare nel passaggio dalla scuola superiore all’università. Tale transizione è infatti considerata “difficile” da oltre il 30% del campione di studenti intervistati e più del 40% di questi lamenta la mancanza di adeguate figure di riferimento per scegliere l’orientamento agli studi in modo più strutturato.

C’è quindi un ostacolo di secondo livello, strettamente correlato alla percezione diffusa fra molti giovani che le materie STEM sono più difficili da apprendere, richiedono più tempo e risorse economiche, e non sono adatte a tutti e in particolare alle ragazze, metà delle quali riconoscono la presenza di stereotipi di genere che disincentivano le donne rispetto all’avvio di un percorso di studi in ambito tecnico-scientifico.

Confermando le indicazioni della prima edizione dell’Osservatorio, l’ultimo rapporto di Deloitte ci dice in proposito che in Italia le donne sono una minoranza all’interno del mondo STEM, per quanto (e il dato è comune a tutti i Paesi) le stesse donne rappresentino dal 50% al 60% del totale dei laureati in generale. L’assenza di “candidati STEM” ha quindi un altro importante (e per certi versi drammatico) effetto: il gap di competenze che rappresenta rischia infatti di compromettere lo sviluppo di soluzioni adeguate a sostenere una transizione digitale, ambientale, sociale ed economica che in molti casi si rende indispensabile.

Fa specie, per esempio, rilevare come il 55% delle organizzazioni intervistate abbia confermato di avere avuto problemi a trovare candidati giusti per ricoprire posizioni in ambito informatico e tecnologico e come, quasi paradossalmente, il 52% degli intervistati italiani non sia a conoscenza dell’esistenza di percorsi formativi informali (boot camp, programmi accademici, hackathon), con solo il 4% dei datori di lavoro dimostratisi attenti a selezionare attivamente personale proveniente da questi percorsi.

In uno scenario in cui emerge in modo sempre più pressante, per una buona fetta della popolazione lavorativa, l’esigenza di “reskilling”, c’è infine un’ultima considerazione che non va dimenticata. Ed è per inciso l’effetto esercitato dalla pandemia sull’apprendimento dei giovani e sui loro percorsi di studio. Molti studenti sono stati colpiti dalla crisi economica scatenata dall’emergenza Covid-19 e parte di questi ha dovuto interrompere gli studi per trovare un lavoro, il 34% ha dovuto rinunciare a una esperienza all'estero e il 15% ha abbandonato l’idea di inseguire la laurea in un luogo diverso dalla propria città di residenza.

Serve quindi un nuovo impulso in direzione delle discipline STEM e non può che arrivare da tutti i soggetti coinvolti, dalle istituzioni pubbliche al mondo dell’istruzione, dalle imprese alle organizzazioni del terzo settore. Le aree di intervento su cui agire, secondo Borsani, sono tre: “aumentare la consapevolezza sulle materie tecnico-scientifiche, eliminare le barriere socio-economiche e ripensare il talento in ottica di ibridazione STEM delle competenze”.

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