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Settori giovanili e dilettanti: viaggio nella crisi del calcio italiano

di Alessandro Crisafulli

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(Adobe Stock)

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Per cercare l’origine della crisi del pallone in Italia non occorre guardare al vertice della piramide, ma scandagliarne la base. Partire dal movimento giovanile. E dai dilettanti

7 settembre 2022
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3' di lettura

Il calcio italiano è in pericolo di vita? Non è ancora alla maschera d’ossigeno, anche se di ossigeno fresco, come quello di fondi e gruppi stranieri, sembra sempre più evidente il bisogno.

Del resto, è stato proprio il numero uno della Federazione, Gabriele Gravina, nel Report Calcio 2022 presentato a luglio e relativo alla stagione 2020-21, a spuntare il simbolo dell’alert: “Il calcio italiano, a tutti i livelli, al pari degli altri settori strategici del Sistema Paese, ha subito un significativo contraccolpo socio-economico, mettendo a rischio la sopravvivenza del comparto, che coinvolge 12 diversi settori merceologici”.

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Perchè se la Nazionale quest’inverno osserverà dal divano, con il plaid, i Mondiali, per la seconda edizione consecutiva; se le big nostrane sono cenerentole o al massimo outsider fuori confine; se i giovani con le stimmate del talento fanno le valigie a caccia di fiducia e minuti; se il prodotto Serie A è finito nel discount del mercato internazionale... un motivo ci sarà. O forse tanti motivi.

I giovani e i dilettanti

Per cercarne traccia, ma anche e soprattutto per cercarne le possibili cure non occorre guardare al vertice della piramide, ma scandagliarne la base. Partire dal movimento giovanile. E dai dilettanti. Da un mare magnum che riguarda poco più di un milione di tesserati, scesi poi a 826.765 nel pieno della pandemia (489.800 di Settore giovanile e scolastico, 336.965 Dilettanti).

Anzi, ancora prima, occorre guardare nei campetti degli oratori, nei parchi, nelle piazze: il pallone ha ancora il suo storico, magnetico, appeal per i bambini? Ha ancora il suo romantico fascino? Oppure è stato sostituito, bucato, messo in fuorigioco?

Qualche settimana fa l’ex Ct pluridecorato Arrigo Sacchi, sulle pagine della Gazzetta dello Sport, ha lanciato un altro allarme: “La maggior parte dei bimbi e i ragazzi non giocano più. Ecco perché il calcio italiano va male”. Troppo, e troppi, impegnati a dimenarsi sulle sedie da gaming, allenando i pollici. Troppo, e troppi, attratti dai balletti su Tik Tok.

“Io ho chiuso la mia scuola calcio”, ci racconta Totò Schillaci, l’eroe dei Mondiali del ’90. Lui che è partito dal campetto gruviera del quartiere Zen di Palermo, per infiammare le notti magiche degli italiani, per poi tornare tra la sua gente, a insegnare calcio alle nuove leve: “Eravamo arrivati a 600 bambini. Ma ormai è cambiato tutto: non ci sono più ragazzi con la fame di calcio, c’è troppo benessere, sono viziati e coccolati dai genitori, sono sempre attaccati ai telefonini, non riesci nemmeno a parlargli a volte”.

Una disamina che sembra senza appello, la sua: “Se arrivano a giocare a 14-15 anni è tanto – prosegue – poi si stufano e pensano ad altro. Spesso è anche responsabilità di allenatori che puntano solo a vincere, per il loro ego, e tanti ragazzi li lasciano in disparte. E’ triste, ma è così e se oggi vai a vedere una partita di Giovanissimi o Allievi ti accorgi che il livello è sceso tantissimo”.

Viaggio nei territori del calcio

E’ davvero così? E se sì, perchè? Cercheremo di indagare, partendo dai dati; facendo un parallelo con alcuni paesi esteri; raccontando equilibri ed equilibrismi dei piccoli Club per sopravvivere; accendendo i riflettori su malaffare, malcostume e mal di pancia; mettendo in risalto i problemi (dropout adolescienziale, disallenatori, gatti e volpi tra le tribune, valzer di mazzette, funerale degli sponsor) e ipotizzando delle soluzioni.

Ascoltando le Istituzioni, i primattori del mondo del calcio, gli esperti, ma anche e soprattutto chi porta avanti la baracca tutti i giorni, rimboccandosi le maniche: presidenti, dirigenti, allenatori.

Presenteremo dati esclusivi e preoccupanti. Racconteremo casi scottanti. Scopriremo straordinarie storie di resilienza e riscatto, così come imprese e progetti d’eccellenza.

Convinti che il calcio, proprio a partire dalla base, possa essere considerato un po’ il sismografo della società italiana. E registrandone le scosse, si finisce per rompere un vaso di pandora. Dove escono tanti mali – del calcio e del Paese stesso – ma dove sul fondo, proprio come nel celebre racconto della mitologia greca, resta la Speranza.

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