di Giovanna Mancini
Fasi della produzione destinata anche all’elettrico alla Gnutti Carlo
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La norma Ue che decreta lo stop alla vendita di veicoli a benzina e a diesel in Europa a partire dal 2035, approvata la scorsa settimana dal Parlamento dell’Unione, suscita grande preoccupazione tra le circa mille aziende lombarde della filiera automotive, che oggi danno lavoro a oltre 50mila dipendenti. Confindustria Lombardia stima che la transizione elettrica attuata con i tempi – ritenuti troppo rapidi – indicati da Strasburgo, metterà a rischio 15-20 mila posti di lavoro nella regione.
Le perplessità (o le aperte critiche) degli imprenditori lombardi sono soprattutto nel metodo, più che nel merito, dato che l’industria del territorio è mediamente avanzata su questo fronte e molte aziende hanno avviato già da anni processi di diversificazione tecnologica per adeguare la propria offerta anche al mercato dell’elettrico. «Io non discuto se gli obiettivi stabiliti dall’Unione europea siano giusti o meno. Trovo però sbagliato il modo in cui si intende raggiungere tali obiettivi – osserva Mario Gnutti, vice-presidente del gruppo Gnutti Carlo, azienda con 100 anni di storia, 820 milioni di ricavi stimati nel 2022 e 4.200 dipendenti in diversi stabilimenti produttivi nel mondo –. Dettare traguardi di lungo periodo vincolando anche l’aspetto tecnologico è un errore e una contraddizione, che va contro i principi del progresso tecnologico e scientifico. Nell’automotive gli investimenti sono elevatissimi e, nel momento in cui canalizziamo e vincoliamo la tecnologia, automaticamente distruggiamo l ricerche alternative, perché diventano anti-economiche». Gnutti ha iniziato a diversificare ormai già nel 2017: «Allora eravamo molto esposti sulla parte endotermica, ma abbiamo avviato un percorso di diversificazione, entrando nel mondo dell’alluminio, che è un elemento dominante nel mondo dell’E-mobility. Oggi siamo in grado di fornire i nostri clienti su scala globale, sia sul fronte diesel e benzina, sia sull’elettrico», aggiunge l’imprenditore, che si dice convinto dell’importanza di mantenere entrambi i filoni produttivi, perché «la transizione elettrica avverrà più lentamente di quanto si pensi e bisogna stare attenti a non disinvestire dal settore tradizionale».
Anche il gruppo Costamp ha iniziato a diversificare 6-7 anni fa e ora è preparato alla transizione in atto: «Siamo costruttori di attrezzature e fino ad allora producevamo per l’80% powertrain tradizionale, ora questa tecnologia si è ridotta al 10% – dice Marco Corti, presidente e ceo del gruppo, che genera 50 milioni di ricavi l’anno e conta circa 250 dipendenti –. Esportiamo l’80% della nostra produzione e il 70% è destinato ormai a macchine elettriche». Corti, che vede comunque nella transizione elettrica un’opportunità, non nasconde tuttavia alcune perplessità sulla decisione del Parlamento europeo: «A livello di infrastrutture non siamo pronti per questo passaggio – osserva –. Mi sarei aspettato che le istituzioni si impegnassero prima a realizzare le infrastrutture, poi a trovare un sistema per rendere meno costose le auto elettriche e solo alla fine si dedicassero alla commercializzazione».
Il tema dei costi delle auto elettriche (non certo un bene per tutti) è sollevato anche da Marco Bonometti, presidente e ad di OMR-Officine Meccaniche Rezzatesi, gruppo da 750 milioni di euro di fatturato specializzato nella produzione di telai, con 4mila dipendenti, dieci stabilimenti in tutta Italia e impianti anche in Africa, Usa, Brasile, Cina e India. «La mia azienda lavora già da tempo su telai adatti anche alle auto elettriche, quindi non ne faccio una questione personale – dice Bonometti – ma di principio. Questa decisione porterà alla perdita di migliaia di posti di lavoro in Lombardia e in Italia e di qualche milione in Europa, distruggendo l’industria dell’auto europea, a favore di quella cinese e americana». Bonometti punta l’indice su un voto che è stato dettato «più da spinte ideologiche che scientifiche, anche perché i produttori andranno a costruire le auto a motore endotermico in Brasile o dove si potrà», afferma l’imprenditore. «Potrebbe essere un’occasione di innovazione e riconversione per molte imprese, se fosse fatta con tempi più dilatati e incentivi adeguati, come avvenuto in Cina e Stati Uniti. La mia speranza è che si possa ancora intervenire nella finestra di verifica del 2026 e lavorando sulle opportunità offerte dall’euro 7 – conclude Bonometti –. Ma occorre agire come sistema, governo, associazioni industriali ed europarlamentari».
Anche Jody Brugola, presidente dello storico gruppo produttore di viti, mette l’accento sull’importanza di iniziare a rinnovare il parco auto circolante verso motori euro 7 come primo step. «Non c’è solo la transizione elettrica: esistono anche altre azioni per ridurre l’inquinamento prodotto dai veicoli. Ad esempio adeguare i motori termici attuali con modelli più avanzati, incentivare le motorizzazioni ibride e investire sull’idrogeno, da molti visto come la soluzione più completa e migliore». È un processo in atto, a cui l’industria lombarda si sta adeguando. «Da ormai cinque anni produciamo viti destinate anche all’elettrico e abbiamo investito su modelli e componenti speciali, che potranno essere utilizzati in qualunque tipo di veicolo potrà circolare – spiega l’imprenditore –. Non è una questione di tifoseria: bisogna capire qual è la soluzione migliore per la mobilità nel futuro. La risposta migliore è differenziare, per offrire un'offerta maggiore agli acquirenti».
Giovanna Mancini
Redattore ordinario
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