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Russofobie e pianoforti a coda

di Beda Romano

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 Una delle sale della casa di Pietro il Grande, a Tallinn

 Una delle sale della casa di Pietro il Grande, a Tallinn

19 novembre 2017
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5' di lettura

Qualche anno prima di affidare a Bartolomeo Rastrelli e a Domenico Trezzini la nascita di San Pietroburgo, Pietro il Grande acquistò a Tallinn nel 1714 una casupola, modesta e senza pretese. Lo zar amava la città sul Baltico e dopo avere comandato la marina russa nella sua guerra contro la Svezia nei primi anni del Settecento, fece della città estone sul Golfo di Finlandia un suo luogo di villeggiatura. Una cucina, un soggiorno, una camera da letto, una sala da pranzo. Circondato da un bel giardino, il luogo è piccolo. Nulla a che vedere con il maestoso e imponente Palazzo d’inverno qualche centinaia di chilometri più a Est.

A modo suo, il piccolo museo smentisce alcuni luoghi comuni sui difficili rapporti tra estoni e russi. «Riceviamo ogni anno circa 4-5mila visitatori», spiega la conservatrice del museo, Julia Kornejeva. «La maggior parte dei turisti viene durante l’estate. Una maggioranza di visitatori è straniera; metà è russa. Durante l’anno, tuttavia, organizziamo molte attività, programmi educativi e lezioni per la popolazione locale. Di conseguenza molti locali, russi ed estoni, sono nostri ospiti permanenti». Durante una recente visita, chi scrive è stato accolto da un anziano custode, alto, distinto e sorridente, con un forte accento russo.

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In un contesto segnato da tensioni politiche, la vecchia casa di Pietro il Grande, così come la sua elegante guida, sembrano un’oasi di un altro tempo, un retaggio anacronistico in una Estonia dove il 20% della popolazione è di origine russa. Mentre nelle repubbliche baltiche domina nel discorso pubblico una retorica anti-russa, il piccolo museo a qualche centinaia di metri dal palazzo presidenziale, stona come non mai. E se in realtà, proprio il museo rappresentasse meglio di molte dichiarazioni l’ambiguo sentimento estone nei confronti del grande vicino russo?

Da quando Mosca ha annesso la Crimea nel 2014, i Paesi baltici temono una nuova improvvisa invasione da Est. La Nato ha deciso di rafforzare il suo fianco orientale, come dicono gli esperti militari. Ormai, in Estonia sono di stanza 800 soldati dell’Alleanza atlantica; altri 2.400 tra Lettonia e Lituania; e altri 4mila in Polonia. Una recente esercitazione russa, denominata Zapad e che si è appena svolta alla frontiera con l’Estonia, ha scatenato le vive proteste dell’establishment estone. «Zapad si è rivelata una esercitazione di attacco, più che di difesa», commenta Marko Mihkelson, presidente della Commissione affari esteri del Parlamento unicamerale Riigikogu.

A Tallinn aleggiano tuttora i ricordi del passato: l’invasione tedesca del 1941, e soprattutto la controinvasione russa del 1944, e la successiva occupazione sovietica per oltre 50 anni. Le generazioni più anziane ancora si ricordano di quegli anni. Racconta l’ex ministro degli Esteri Jaan Manitski: «Mio padre era un pescatore durante la guerra. A un certo punto ci caricò in tutta fretta sulla sua imbarcazione e ci trasportò sull’altra riva del Golfo di Finlandia, in Svezia». Dopo 46 anni di esilio e aver fatto fortuna in Scandinavia, Jaan Manitski è tornato in patria. Nel 1992 ha guidato la diplomazia della neoindipendente Repubblica di Estonia.

«Nella vita quotidiana non ci sono tensioni tra estoni e russi», assicura l’anziano imprenditore e uomo politico. «Le nuove generazioni non sono condizionate dai ricordi di ingiustizie passate o da eventuali repressioni. Peraltro abbiamo sempre avuto buoni rapporti con i russi che non si consideravano sovietici. Non credo che ci sia una vera minaccia russa nei confronti dell’Estonia. La nostra situazione non è paragonabile a quella della Crimea o della Georgia», aggiunge l’ex ministro, riferendosi al conflitto che nel 2008 portò la Russia a occupare una parte del territorio georgiano.

Qualche mese fa è corsa notizia che numerosi estoni si preparavano al peggio: compravano piccole barche a motore nel caso fossero chiamati a scappare nuovamente verso Ovest. Il visitatore non può fare a meno di notare nel rapporto tra estoni e russi il contrasto fra il discorso pubblico e la vita quotidiana. «Vi è molta animosità, ma anche molta neutralità positiva», conferma una delle voci più note della letteratura estone, lo scrittore Jaan Kaplinski. «Molti estoni hanno amici in Russia, vi hanno studiato e lavorato. Credo che la maggioranza degli estoni non sia preoccupata da una invasione».

In Anime Baltiche (Iperborea, 2014), il viaggiatore olandese Jan Brokken nota che «per gli estoni, la Russia rappresenta un trauma». Tra il 1941 e il 1949, migliaia di estoni furono deportati in Siberia. Eppure lo scrittore sottolinea i legami sempre forti tra i due Paesi, a iniziare dalla musica. Fin dall’Ottocento, l’Estonia iniziò a produrre pianoforti verticali, approfittando del mestiere di molti artigiani di origine tedesca. «Nel 1950 – scrive Brokken - l’Estonia fabbricò in via eccezionale un pianoforte a coda che venne regalato a Stalin, il quale ne fu così contento che ordinò per decreto che da allora in poi l’Estonia producesse pianoforti a coda». Il Paese tuttora sforna ogni anno quattrocento pianoforti a coda.

Memore anche delle accuse di disinformazione lanciate contro Mosca, afferma ancora l’ex ministro Manitski a proposito del presidente russo Vladimir Putin: «È un ex agente segreto del Kgb. Gioca la carta nazionalista per meglio assicurare il proprio potere in Russia». Aggiunge lo scrittore Kaplinski: «Ho l’impressione che la propaganda anti-russa sia anche in parte il risultato del desiderio americano di ostacolare il ritorno della Russia sulla scena mondiale e in parte anche di vendere i loro prodotti e in particolare materiale militare».

Altri osservatori temono che dietro alle tensioni ci sia anche il desiderio dell’Estonia di esibire la propria recente sovranità. «Personalmente sono molto infelice della russofobia nei nostri giornali», ammette ancora Jaan Kaplinski. Paesi di nuova indipendenza, le repubbliche baltiche, come gli altri Stati dell’Europa centro-orientale, vivono con ambiguo fastidio l’appartenenza all’Unione europea, preoccupati dall’essere passati dall’impero sovietico a un’altra forma di dominazione imperiale. I governi tendono a cavalcare questo sentimento nazionalista, magari accentuando le differenze con il grande vicino orientale.

Storicamente terra di conquista per la Germania e per la Russia, l’Estonia in verità non può fare a meno di guardare sia a Ovest che a Est, al di là dei conflitti. Mentre all’inizio del XX secolo la cultura russa e lo sviluppo economico hanno attirato migliaia di estoni verso San Pietroburgo, da sempre il Paese è ritenuto un avamposto della cultura tedesca e luterana nel grande Nord. Nello stesso modo in cui numerose targhe nelle strade della vecchia Tallinn ricordano i legami dell’aristocrazia tedesca con questo Paese, la casa di Pietro il Grande è simbolica dei rapporti con una Russia troppo vicina per essere considerata solo un nemico.

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