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La logica del pezzo unico contro il fast fashion: esclusività e attenzione green

di Alexis Paparo

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Eugenia Penta e Francesca Filipo, 33 anni, fondatrici del brand di abbigliamento Vernisse (ph Mattia Lotti).

Eugenia Penta e Francesca Filipo, 33 anni, fondatrici del brand di abbigliamento Vernisse (ph Mattia Lotti).

Tessuti preziosi e capi sartoriali destinati all'oblio e recuperati con l'upcycling: Francesca Filipo ed Eugenia Penta hanno dato vita a un brand, Vernisse, che restituisce al pubblico creazioni vintage, nel segno di un lusso attento al Pianeta.

16 marzo 2023
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2' di lettura

I loro tessuti sono vintage, spesso recuperi di magazzino. La produzione è realizzata in due piccoli laboratori non lontano da Milano: nel 90 per cento dei casi si procede su ordinazione. I pezzi hanno un design senza tempo: «È soprattutto una collezione continuativa, alla quale affianchiamo un servizio di care&repair per prolungare o dare nuova vita ai nostri capi». Francesca Filipo ed Eugenia Penta, 33 anni a testa, sono le fondatrici di Vernisse, luxury brand di abbigliamento pensato in conseguenza ai rispettivi percorsi professionali nel mondo della moda.

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(ph Mattia Lotti)

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«Decisiva, per me, è stata l'osservazione dei materiali che finivano dimenticati in una giacenza senza senso: li vedevo dai fornitori che frequentavo per il brand per cui lavoravo. Quintali di capi, realizzati con perizia e con tessuti di valore, il cui destino era di essere svenduti alle sample sale», dice Filipo a proposito della propria coscienza green. «Il campanello d'allarme definitivo è suonato nel 2015, davanti al documentario The True Cost di Livia Firth, forse la prima voce a farsi sentire sulla sostenibilità nella moda, poi fondatrice della Green Carpet Challenge. In quel momento ho capito che il fast fashion andava fermato, e che anche le mie azioni potevano contribuire». Con Eugenia si sono mosse verso consumi più consapevoli, e quindi verso la concezione di Vernisse. «Oggi la sfida è adattare sistemi che funzionavano su piccola scala alla crescita del brand», aggiunge Penta. «Per esempio, proporre alternative ai materiali terminati, far capire sia ai buyer (la parte più difficile) sia ai consumatori che l'unicità e la limitata riproducibilità sono valori, anche se comportano leggere modifiche ai capi».

A questo punto la domanda è lecita: la sostenibilità facilita od ostacola il percorso di un'impresa? «All'inizio costringe a ripensare le tappe di una collezione, ma sono proprio questi paletti a determinare l'esclusività di un capo, quello che ci ha rese riconoscibili in un mercato che non manca certo di proposte». E come si resta coerenti alle proprie scelte nel quotidiano? Eugenia e Francesca riflettono: «Privilegiando la dieta vegetale, la filiera corta, lo shopping second hand o di piccoli brand artigianali, i prodotti green per la casa e la cura di sé, la riparazione come pratica quotidiana, il limitato uso dell'auto».

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