di Luca Tremolada
Il parlamento Ue approva prime norme sull'Intelligenza artificiale
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Ci sono almeno tre narrazioni sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa. Corrono parallele per intrecciarsi sottilmente e occasionalmente. La prima è quella che possiamo definire della distruzione creativa dell’austriaco Schumpeter. Immaginate una curva a U con in ordinata i posti di lavoro e in ascissa il tempo? Ecco, noi saremmo sulla sinistra all’inizio della discesa verso il fondo quando, per capirci, viene introdotta la nuova tecnologia e le aziende senza avere ancora chiaro cosa fare cominciano a cancellare funzioni e lavoratori in attesa di generarne di nuovi.
Poi c’è la narrazione correlata ma distinta dell’impatto sulle professioni creative e artistiche. E quindi scrittori, musicisti, giornalisti, illustratori, videomaker, doppiatori, cantanti e tutti quei mestieri che generano un talento che può essere replicato. O ri-generato. In questo caso ci muoviamo all’interno delle aule dei tribunali dove stanno decidendo se l’Ai generativa copia e quindi deve remunerare chi detiene i diritti d’autore come è giusto che sia o si ispira e quindi non deve niente a nessuno.
Infine c’è la terza narrazione che è quella della regolamentazione nazionale e sovranazionale dell’intelligenza artificiale in tutte le sue declinazioni, da quella tradizionale-generalista alla generativa. E quindi si va dagli allarmi di estinzione del genere umano lanciati dal papà di ChatGpt alle minacce di uscire dall’Europa se le regole si dimostrassero troppo stringenti. Qui il confronto è a tre. Da una parte gli Stati-nazioni, dall’altra le potenze dall’Ai (Usa e Cina) e in mezzo l’Europa che si propone come luogo dove accogliere forme di Ai sostenibili e rispettose dei diritti umani.
La narrazione che ancora non c’è in modo chiaro è quella delle aziende. Di quello che avviene al loro interno. Di come sta reagendo il management di fronte a quello che viene raccontata come la più grande rivoluzione tecnologica di sempre. «Fino a oggi la sfida era quella di portare i dati nei processi aziendali - ha raccontato Fabio Moioli ex Microsoft uno dei più esperti in questo campo oggi executive search & leadership advisor di Spencer Stuart -. Ora con l’Ai si può immaginare di generare direttamente i processi dai dati». Il cambiamento è copernicano ovvero rappresenta un ribaltamento di sistemi concettuali sino ad allora universalmente accettati. In questa narrazione però l’impatto è davvero ancora più imprevedibile. E per una volta l’Italia non è come al solito l’unica a partire in ritardo.
Secondo l’ultimo aggiornamento dell'Ai index dell’Università di Stanford oggi ci sono 62 Stati al mondo che hanno sviluppato una strategia di Ai. Ma come hanno osservato i ricercatori non è sufficiente adottare tool Ai o scrivere un documento strategico per portare a terra questa tecnologia. Quello che ancora nessuna narrazione ha saputo formalizzare è come controllare gli algoritmi che sono alla base del machine learning. Come è possibile mettere in sicurezza sotto il profilo della privacy, come limitare il numero di “falsi positivi” come rendere queste blackbox più trasparenti e controllabili. Molto anzi tutto dipende dal management. Ma per portare l’Ai in azienda si deve partire da qui.
Luca Tremolada
Giornalista
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