di Sissi Bellomo
(Bloomberg)
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Dopo lo zinco, il petrolio. Glencore continua a pieno ritmo la campagna di acquisizioni, annunciando una seconda operazione da un miliardo di dollari nel giro di appena tre giorni. Il colosso svizzero delle materie prime stavolta si porta a casa il 75% degli asset petroliferi di Chevron in Sudafrica, nonché tutti gli interessi della compagnia americana nel vicino Botswana.
La strategia è simile a quella adottata nei precedenti deal, compreso quello annunciato martedì, che dovrebbe portare Glencore a controllare la mineraria peruviana Volcan. Il gruppo guidato da Ivan Glasenberg – già potentissimo grazie alla duplice attività di trading e produzione di materie prime – sta approfittando della fine della crisi nel settore per rafforzarsi nei mercati in cui esercita la maggiore influenza.
Nello zinco Glencore è da tempo il numero uno, così come nel carbone (in cui è cresciuta ancora con l’acquisto di miniere australiane da Yancoal lo scorso luglio).
Nel trading petrolifero il primato non c’è ancora, ma ormai è a portata di mano: tra le società indipendenti oggi solo Vitol fa di meglio, movimentando oltre 7 milioni di barili al giorno tra greggio e prodotti raffinati.
Glencore è arrivata a 6 mbg, grazie anche all’accordo quinquennale per commercializzare 220mila bg di Rosneft, preziosa eredità del blitz sulla compagnia russa compiuto con il fondo qatarino Qia (la quota è stata rivenduta quasi tutta alla cinese Cefc, ma il contratto di marketing è rimasto).
È in questo scenario che si inquadra l’operazione di ieri, che Glencore ha soffiato ai cinesi: Chevron lo scorso marzo aveva concluso l’affare con Sinopec, ma i soci di minoranza neri (ai quali le leggi sudafricane, in nome del Black Economic Empowerment, riservano il 25%) hanno fatto saltare l’accordo, alleandosi invece con gli svizzeri.
Tra gli asset rilevati da Glencore, per un totale di 973 milioni di dollari, ci sono una raffineria da 100mila bg a Cape Town e una rete di distribuzione di carburanti, che copre il 19% del mercato retail sudafricano.
Forse ancora più preziosa per il gruppo, c’è anche un’«ampia rete» di terminal, oleodotti e depositi nell’area di Saldanha Bay: uno dei maggiori centri di stoccaggio petrolifero al mondo, con una capacità di 45 milioni di barili, posizionato in modo strategico per rifornire l’Asia.
Sissi Bellomo
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