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Addio a Lino Capolicchio, indimenticato interprete de «Il giardino dei Finzi Contini»

di Andrea Chimento

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(Getty Images)

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Si è spento a 78 anni il celebre attore italiano, anche protagonista del cult «La casa dalle finestre che ridono» di Pupi Avati

4 maggio 2022
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3' di lettura

Si è spento a 78 anni Lino Capolicchio, noto attore italiano che ci ha lasciato proprio nel giorno dei David di Donatello, premio che aveva alzato nel 1971 per «Il giardino dei Finzi Contini».
Nato a Merano il 21 agosto del 1943, Capolicchio fa le sue prime esperienze nel mondo dello spettacolo lavorando per il teatro: prima a Torino, città in cui è cresciuto, e poi a Roma per frequentare l'Accademia nazionale d'Arte Drammatica Silvio D'Amico.

Il conte di Montecristo

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Poco più che ventenne, esordisce nella compagnia di Giorgio Strehler, maestro che gli dà subito grande spazio e fiducia facendolo diventare presto parte fondamentale del suo gruppo d'attori.Interprete colto ed elegante, Capolicchio diventa un nome importante della scena teatrale tanto da suscitare l'interesse della televisione e della Rai che lo chiama per lo sceneggiato di Edmo Fenoglio, «Il conte di Montecristo», del 1966.

Per Capolicchio è la prima prova di fronte alla macchina da presa e l'anno successivo farà il suo esordio al cinema ne «La bisbetica domata» di Franco Zeffirelli, seppur in una piccola parte.Nonostante col passare del tempo diventerà un volto sempre più celebre sul grande schermo, Capolicchio non abbandonerà mai la televisione e soprattutto il teatro, sua prima e grande passione.

Protagonista sul grande schermo

Il primo ruolo rilevante al cinema è quello per il grottesco «Escalation» di Roberto Faenza del 1968, a cui seguono l'anno seguente «Metti, una sera a cena» di Giuseppe Patroni Grifi e «Il giovane normale» di Dino Risi.Capolicchio diventa presto uno dei volti del disagio giovanile del periodo e della militanza sul grande schermo, riuscendo spesso a dare vita a ruoli molto diversi in film con un taglio sperimentale e fortemente controcorrente.Il grande successo al cinema arriva, però, con «Il giardino dei Finzi Contini» di Vittorio De Sica del 1970, film vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino e dell'Oscar al miglior lungometraggio straniero: per l'indimenticabile ruolo di Giorgio, Capolicchio alzò il prestigioso David di Donatello. La sua interpretazione resterà agli annali del cinema anche per l’intensità del suo ruolo.

L'inizio del decennio è stato di ottimo auspicio per l'attore che, proprio negli anni Settanta, visse il suo periodo migliore nel mondo del cinema.Dopo la prova per De Sica, viene chiamato da altri autori molto impegnati come Giuseppe De Santis («Un apprezzato professionista di sicuro avvenire» del 1972) o Carlo Lizzani («Mussolini ultimo atto» del 1974).

Il rapporto con Pupi Avati

Il suo volto, però, viene ancora maggiormente associato a uno dei grandi cult del decennio: «La casa dalle finestre che ridono» di Pupi Avati del 1976. Tra i più importanti esempi del filone giallo-thriller italiano, con un pizzico di horror gotico di grande classe, il film contribuì a creare un grande rapporto con Avati, che proseguì negli anni successivi con film come «Le strelle nel fosso» (1978), «Noi tre» (1984) e «Ultimo minuto» (1987).Negli anni Ottanta sono ancora diverse anche le partecipazioni a prodotti televisivi, come la miniserie «Verdi» o la terza stagione de «La piovra», senza trascurare il palcoscenico lavorando per nomi del calibro di Luca Ronconi o Walter Pagliaro.Nel decennio successivo tenta un difficile approdo alla regia cinematografica con «Pugili» (1995) e partecipa, tra gli altri, a «Fiorile» del 1993 dei fratelli Taviani.Infine, va ricordato che negli ultimi anni di vita e di carriera sarà ancora Pupi Avati a offrirgli dei ruoli nei suoi film: Capolicchio è nella pellicola «Una sconfinata giovinezza» del 2010 e ne «Il signor Diavolo» del 2019.In quest'ultimo lungometraggio, seppur non in un ruolo da protagonista, non poteva proprio mancare essendo un omaggio al periodo d'oro dell'horror-thriller italiano degli anni Settanta che Avati e Capolicchio avevano nettamente segnato con «La casa dalle finestre che ridono».


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