di Angelo Flaccavento
A Capannuccia. Un momento della sfilata che si è tenuta ieri nella sede modello alle porte di Firenze
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Il racconto sulla artigianalità, nella moda e più in generale nelle attività produttive, tende ad opporre il pezzo unico alla serie. C’è serialità e serialità però. I macchinari e i computer, nel segmento alto, sono una naturale evoluzione degli utensili: performano davvero solo nel dialogo con l’artigiano che li manovra. Sono progresso, non negazione dell’umano.
«Produciamo alcune delle nostre borse ancora con i punti a mano, ma le macchine di taglio computerizzate assicurano una precisione altrimenti irraggiungibile», racconta Silvia Venturini Fendi nella Fendi Factory di Capannuccia, Firenze: un edificio dalle pareti trasparenti immerso tra alberi di ulivo, centro della produzione pellettiera di Fendi. Eccezionalmente, è tra tavoli e artigiani indaffarati che si svolge la sfilata della collezione uomo primavera-estate 2024: una celebrazione dell’estetica del lavoro manuale ma anche una espansione di possibilità della materialità del far vestiti. Non solo pelle e tessuto, ma anche carta washi – resistentissima, lavabile -–canapa, e una serie di stoffe tinte in prolungate tisane con le erbe autoctone del luogo, ortica in primis.
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«La sfilata nasce in un’ottica di trasparenza sulla filiera, in un luogo importante per la nostra produzione e simbolico per il marchio, visto che proprio a Firenze mia nonna imparò da alcuni parenti l’arte della pelletteria, prima di tornare a Roma e fondare Fendi – aggiunge Silvia Venturini –. Il luogo ha un che di galattico: la stessa estetica pulita ed efficace tracima nella collezione». L’infatuazione della moda per il workwear, dovr ogni cosa è al suo posto e c’è un posto per ogni cosa, non è nuova. Ma la prova è carica di quella speciale sensibilità che fa di Venturini autrice sui generis: un misto unico di precisione, humor, gusto dell’ovvio, amore per l’algido, senso di una artigianalità progressiva.
Su modelli dai capelli ingellati, tra abbondanti porzioni di pelle scoperta si dipana una teoria di cappottini laboratoriali, giacche da lavoro, tuniche senza maniche e grembiulini, con passaggi occasionali di abiti sartoriali spezzati – è workwear anche quello, a ben guardare – e contorno di borse meravigliosamente lavorate (due con l’intervento collaborativo di Kengo Kuma), che è una proposta moda di impatto sulla passerella ma di sano appeal commerciale. Tutto sta nell’incastro perfetto, e nuovo, tra proporzioni, materie e finiture, con quel tanto di gadget - metri di pelle come sciarpine - che diverte senza insipide ironie. Perfetto.
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