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L’intelligenza artificiale a supporto delle decisioni del top management

di Gianni Rusconi *

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(REUTERS)

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Chi gestisce un’azienda dovrà sempre più utilizzare le informazioni che derivano dai dati e “guidare” gli algoritmi nell’interpretazione degli stessi

20 febbraio 2023
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3' di lettura

L’interesse delle aziende italiane per le soluzioni di data analysis è in crescita (l’incremento della spesa fra 2021 e 2022 è del 20%, per un totale di 2,4 miliardi di euro, secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano) e tale tendenza rafforzerebbe il concetto secondo cui le decisioni di business basate su modelli matematici e serie storiche rappresentano una visione parziale della realtà mentre l’intelligenza artificiale applicata al forecasting permette di trovare schemi nascosti nei dati, analizzando non solo la stagionalità (variabile abbastanza scontata), ma trovandone altre che permettono di ottenere previsioni più precise.

Così facendo si possono mettere nelle mani del management strumenti per rilevare anche i cambiamenti in corso e per modificare, di conseguenza, decisioni e previsioni in modo elastico. Chi fa impresa o gestisce un’organizzazione ha fra i propri compiti strategici quello di prevedere ed anticipare il futuro in una chiave funzionale al business dell’azienda. Un compito complesso, che spesso induce ad analizzare quanto successo nel passato (senza la certezza che gli scenari già vissuti si possano ripresentare nello stesso modo) e che non è scevro di errori quando l’analisi tecnica alla base di una certa previsione è monca di un aspetto, magari proprio quello più importante.

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Il quadro descritto da Massimo Dell’Erba, già Cto di Premoneo e attualmente R&D Manager del Gruppo Vedrai (che di recente ha completato l’acquisizione della Pmi innovativa milanese) mette a fuoco il tema delle decisioni che competono ai Cda e ricorda come ogni processo di forecasting rimandi sostanzialmente all’utilizzo di modelli matematico-statistici (quando non si hanno tantissimi dati a disposizione) o di metodi di AI (quando si hanno invece una grande quantità di dati da analizzare e un numero elevato di variabili da considerare).

L’Ai per l'analisi dei dati può essere la soluzione a quella che si potrebbe definire la “dissonanza cognitiva” dei manager, e cioè la tendenza a fidarsi solo (o troppo) della propria esperienza per prendere decisioni strategiche?
Partiamo dal presupposto che anche il miglior algoritmo di intelligenza artificiale, alimentato con la più corretta e variegata quantità di dati, non disporrà quasi mai di tutte le informazioni sufficienti per sostituirsi completamente all’essere umano. In futuro, le AI di livello superiore saranno però in grado di cercare in modo autonomo dati utili per individuare la soluzione a un certo problema, arrivando a sviluppare un modello matematico molto efficace, anche se per definizione mai del tutto completo. Un manager esperto in un certo campo tenderà quindi a conservare una propria sensibilità, una componente irrazionale che un algoritmo difficilmente potrebbe replicare. La strada vincente da seguire, infatti, è sempre una sinergia uomo-macchina in cui quest’ultima deve essere il sistema di supporto alle decisioni umane.

Fra gli ostacoli che frenano l’adozione su larga scala di modelli predittivi basati su algoritmi quale ha un impatto maggiore?
Ormai è molto semplice sviluppare algoritmi di intelligenza artificiale grazie agli strumenti oggi a disposizione. Alla base di tutto c’è però un grande problema: senza competenze adeguate in ambito informatico e più specificatamente nel campo dell’analisi difficilmente si arriverà ad ottenere un buon risultato. Ancor più difficilmente si avrà l’elasticità mentale per interpretare correttamente i risultati e individuare la migliore decisione per effettuare correzioni efficaci. Se il problema è alimentato con molti dati ed è complesso da risolvere, inoltre, i computer attuali possono impiegare ore o anche giorni per ottenere una proposta di risultato comunque soggetta a possibile revisione o anche alla sua totale eliminazione. E fino a quando non saranno disponibili soluzioni con una rapidità di calcolo di diversi ordini di grandezza superiori, come le macchine quantistiche, questo problema resterà tale.

Quanto incide invece la volontà di non correre il rischio che l’AI possa fallire?
Gli algoritmi forniscono nella maggior parte dei casi soluzioni probabilistiche mentre i manager preferirebbero una risposta certa, ignorando però il fatto che avvicinarsi al 100% di precisione richiederebbe calcoli talmente dispendiosi da risultare meno convenienti. E poi c’è un altro aspetto da considerare legato ai costi: per rendere più efficiente l’utilizzo delle risorse sarebbe meglio adottare per il calcolo algoritmico sistemi in cloud, opzione che però significherebbe per molte aziende effettuare un importante cambiamento architetturale. A queste considerazioni si aggiunge poi una diffidenza nei confronti del nuovo, tipica del mercato italiano.

Nell’era post pandemica governata dal digitale quanto deve incidere la componente umana nei processi decisionali a livello di top management?
L’apporto umano è fondamentale nell’interpretare i dati collezionati durante e nel periodo immediatamente successivo alla pandemia. Gli ultimi tre anni hanno registrato trend del tutto nuovi sotto ogni punto di vista e questo porterebbe completamente fuori strada una semplice previsione basata sui dati storici. In generale, ci hanno insegnato che eventi “disruptive” possono accadere e per questo il manager avrà, anche in futuro, il compito di “tenere per mano” gli algoritmi per guidarli nell’interpretazione dei dati.


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