di Paolo Bricco
Laura Pepe
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«L’intera cultura classica è fondata sul principio della divulgazione e della diffusione. Omero ed Erodoto, Euripide ed Eschilo, Aristofane e Saffo esistevano perché tutti ascoltassero le loro storie, le scandissero con le labbra, le avessero nella memoria e le conservassero nei cuori. Ad Atene tutti andavano a teatro, che era uno dei luoghi simbolici per eccellenza della comunità».
Laura Pepe, che insegna diritto greco alla Statale di Milano, è due cose insieme: è allieva di Eva Cantarella, la storica e giurista che tanto ha fatto per ricostruire e comprendere le società greca e romana alla luce delle sensibilità e delle urgenze contemporanee, ed è “la Piero Angela” della cultura classica. È una studiosa che, da vent’anni, opera nell’accademia. Ed è una divulgatrice che, da cinque, lavora intensamente con i principali canali televisivi italiani costruendo e conducendo trasmissioni sui grandi avvenimenti e sui personaggi, sui maggiori filoni di pensiero e sugli aspetti minori della vita quotidiana della Atene e della Roma antiche. «Ho sempre pensato - racconta - che il mito e la storia dovessero raggiungere il maggior numero possibile di persone. I bambini e i ragazzi. Ma anche gli adulti e gli anziani che non hanno avuto la fortuna, alle superiori e all’università, di conoscere l’affascinante mondo di segni, bellezza e significati in cui mi sono trovata io a vivere. La divulgazione televisiva e, adesso, i social media costituiscono strumenti molto utili per trasmettere informazioni precise e per offrire squarci ben documentati. Ma, soprattutto, sono assai efficaci nel fare vivere emotivamente e nell’accendere la passione verso uno dei cuori pulsanti della nostra civiltà. Le lingue morte come il latino e il greco antico sono, in realtà, vive. E, attraverso i media tradizionali e i nuovi media, possono diventarlo ancora di più».
Siamo alla Cantina Piemontese, un ristorante che si trova accanto alla Statale di Milano. Qui Laura, nel dipartimento di diritto privato e di storia del diritto, ha il suo ufficio. Laura adopera parole “alte” come cultura e civiltà, ma lo fa con grande naturalezza e manifestando sempre il desiderio che anche gli altri - tutti - partecipino a ciò che sa e conosce. Non esiste nel suo atteggiamento - magari celato dietro a un democraticismo formale - il classismo intellettuale che, dal secondo dopoguerra, ha separato e distinto il “mondo di sopra” dei licei e “il mondo di sotto” dell’educazione tecnica: una tendenza ad auto-attribuirsi predominanze gerarchiche e a fissare astratte egemonie che, peraltro, si è strutturalmente stemperata dagli anni Novanta.
Per il canale Focus, Laura ha realizzato programmi su protagonisti dell’epos come Ulisse, su personalità della storia come Giulio Cesare e Nerone e su figure sociali estremamente “raccontabili” come i gladiatori. Uno dei suoi maggiori fulcri narrativi è Pompei. Laura ha preparato documentari sulla vita quotidiana e notturna prima dell’eruzione del Vesuvio («si può parlare anche di erotismo in maniera scientifica e non volgare e, allo stesso tempo, senza censure»). E aggiunge sorridendo: «Per me è stata una grande soddisfazione quando, a Pompei, ho incontrato dei ragazzi che mi hanno riconosciuto e mi hanno detto che si trovavano lì perché avevano deciso di vedere dal vivo quello che avevano visto in televisione».
Intorno a noi, in una giornata di primavera che spinge tanti a sedersi nel dehors del ristorante, si muove quella borghesia meneghina che - fra piazza Fontana e la Torre Velasca - si divide fra gli studi professionali e le aule universitarie, la definizione di affari e la preparazione delle cordate per il prossimo concorso accademico, la possibilità di mescolare occasioni di lavoro con opportunità intellettuali (da sempre una delle cifre più ambiguamente vitali di Milano) e il semplice piacere di mangiare insieme ad amici, colleghi e conoscenti.
Laura è di Rho, una cittadina alle porte di Milano. Suo padre Fausto era uno statistico che lavorava nel marketing delle imprese farmaceutiche. La madre Alessandra insegnava in un istituto professionale. A Rho lei ha frequentato il liceo classico Clemente Rebora. Dopo la laurea in lettere classiche a Milano con una tesi su “Il lessico della magia nella legge delle XII Tavole”, ha conseguito il dottorato di ricerca in letteratura e filologia greca a Urbino con una dissertazione su “Il ruolo di Tebe nel teatro tragico ateniese”. La frequentazione del crinale fra diritto, letteratura e politica rappresenta uno dei fili rossi della sua ricerca scientifica e della sua produzione editoriale: nel 2019, ha pubblicato con Zanichelli “Atene a processo: Il diritto ateniese attraverso le orazioni giudiziarie”.
«Nella costruzione di un immaginario intimo e di un metodo interiore legati alla divulgazione – sottolinea mentre prende il menù – hanno pesato più di tutti due persone: mio padre ed Eva Cantarella. Mio padre, quando ero piccola, mi leggeva le storie delle sirene e di Ulisse nella riduzione per bambini, lasciandomi a bocca aperta. Eva, fin dal primo giorno di lezione, ci incitava sempre a dire le cose più difficili nella maniera più semplice. Eva, in questo, aveva in aula un grande carisma, una notevole vivacità e una forte capacità di persuasione. Credo che questa sia una delle maggiori eredità di una delle principali intellettuali italiane viventi».
Nel primo caldo successivo a una primavera invernale, nessuno dei due ha particolarmente fame. Lei come antipasto prende un tortino di verdura, mentre io scelgo della carne cruda. Di primo lei ordina un branzino, mentre io viro su un piatto di agnolotti al castelmagno. Nessuno dei due beve vino: «Io mangio poco e bevo, a mezzogiorno, ancor meno», dice Laura sorridendo, mentre ricorda che nel 2018 ha pubblicato con Laterza “Gli eroi bevono vino. Il mondo antico in un bicchiere”. «Due anni dopo – dice versandosi dell’acqua minerale – ho pubblicato con lo stesso editore “La voce delle Sirene. I Greci e l’arte della persuasione”. Nella progressiva emancipazione dalla torre d’avorio dello specialismo per gli specialisti, Laterza è sempre stato l’unico editore generalista accettato dagli antichisti. Lo era già prima, quando era considerato poco più che una stramberia pubblicare con le case editrici mainstream. Laterza è sempre stata una cosa diversa: probabilmente per la funzione di nume tutelare di Benedetto Croce e, più di recente, per la presenza costante nei suoi cataloghi, anche con libri di ispirazione pamphlettistica, di Luciano Canfora».
Non è soltanto un tema di apertura delle porte dell’università verso un pubblico editoriale più ampio. È anche una questione di disponibilità del ceto intellettuale a misurarsi con la televisione e i nuovi media: «Negli ultimi anni, molte cose sono cambiate. Tutti i miei colleghi hanno capito che i recinti non servono più. E anche gli accademici appartenenti a generazioni precedenti alla mia, tutte le volte in cui li ho interpellati per avere contributi per i miei prodotti televisivi, sono sempre stati disponibili a collaborare ai miei programmi».
Adesso, alla televisione – nelle sue diverse forme dei palinsesti rigidi dei canali gratuiti, dei canali a pagamento e di quelli basati sulle library – si affiancano appunto i nuovi mezzi di diffusione: «Ho iniziato a sperimentare i podcast. È una forma di divulgazione ancora diversa rispetto a quella televisiva. Sono molto affascinata dalla centralità della voce nei podcast. Oggi in molti constatano la perdita di centralità della parola scritta. Ma è suggestivo rilevare come, nella nuova contemporaneità, la voce sia sempre più importante. E, questo, mi fa pensare come, nella civiltà classica e preclassica, la cultura si trasmettesse per via orale. Gli aedi come Omero servivano a questo. E, ad Atene, molti spettatori che abitualmente andavano a teatro non sapevano leggere e scrivere, ma conoscevano a memoria i poemi e le poesie, le commedie e le tragedie. Anche se, naturalmente, al filo comune della voce che lega le nuove agorà cibernetiche con le agorà della Grecia classica va unita la profonda distonia nel concetto e nella pratica del tempo. Allora la partecipazione a eventi teatrali e culturali era un vero e proprio rito politico e antropologico, che richiedeva una adesione emotiva e una partecipazione identitaria dei singoli e della comunità che nulla c’entrano con la frammentarietà che in apparenza rende tutti, soprattutto le più giovani generazioni che sono nate digitali, poco capaci di dedicarsi anima e corpo, per lunghi periodi, a esperienze culturali e civili. Oggi sembra così. Ma non è detto che così rimanga. Non sappiamo quale evoluzione prenderà l’antropologia prossima ventura. Sarà interessante verificare, nei processi di apprendimento culturale e di costruzione delle passioni per il sapere, quanto le nuove tecnologie possano permettere nei prossimi anni la sedimentazione e l’assorbimento, la dimenticanza e la riscoperta: insomma, tutto quello che sappiamo essere cultura. Non sono affatto pessimista. Credo che, soprattutto i ragazzi e le ragazze nati negli anni Duemila, potranno sviluppare nuove tecniche percettive, cognitive e mnemoniche in grado di valorizzare, con divertimento, la bellezza universale e la profondità radicale della cultura classica, greca e latina».
Arrivano due piatti di frutta e, poi, i caffè. E, mentre Laura sorride e si appassiona a raccontare la potenzialità di diffusione che la TV e i nuovi media hanno per la cultura classica, mi viene in mente il verso di Konstandinos Kavafis: «Accettiamo la verità una volta per tutte:/ siamo greci anche noi – cos’altro siamo?».
Paolo Bricco
inviato
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