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C'e' una Italia spaccata in due anche per la qualità del lavoro. Come viene puntualmente registrato dalle indagini degli istituti di ricerca quando si parla di qualità della vita e dei servizi c'è un Paese con standard di livello europeo al Nord Italia e uno decisamente più arretrato nel Mezzogiorno dove spesso sono i giovani e le donne a pagare il prezzo più alto dei ritardi accumulati. Anche la qualità del lavoro non fa eccezione rispetto a queta dicotomia ormai consolidata nella società e nell'economia italiana. Lo dimostra la Quinta Indagine sulla “Qualità del lavoro” condotta dall'Inapp (Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche) che ha coinvolto oltre 15mila occupati (sopra i 17 anni) e 5.000 imprese su tutto il territorio nazionale.
L'indagine colloca l'Italia in una sorta di ‘terra di mezzo' tra quelli dove la qualità del lavoro è più elevata, come i paesi scandinavi ma anche Germania, Austria, Svizzera e i paesi dell'Est Europa che sono in fondo alla classifica soprattutto per una scarsa protezione nel mercato del lavoro e dell'ambiente lavorativo (dati Ocse). Molte delle dimensioni che sono state prese in esame presentano al Sud connotazioni negative più ampie rispetto ad altre zone d'Italia. E' cosi', ad esempio, per il rischio percepito per la propria salute sul posto di lavoro. A fronte di una media pari al 24% in Italia, questa percezione risulta più sensibile nel Mezzogiorno (28%) e tra i dipendenti pubblici (30%). Lo stesso accade anche quando la qualità del lavoro si declina sulla dimensione delle modalità di svolgimento delle mansioni: la crescente routinizzazione delle attività lavorative è una percezione molto diffusa tra i lavoratori del Mezzogiorno, dove il 71% degli occupati dichiara di svolgere attività prevalentemente ripetitive.
Se lo sguardo si allarga oltre la dimensione territoriale emergono spaccature più ampie che segmentano il mondo del lavoro secondo le direttrici di genere e di età. Così mentre la qualità del lavoro risulta essere mediamente migliore per gli uomini con medio-alto livelli di istruzione e di età avanzata, i giovani e le donne sperimentano abitualmente condizioni di lavoro meno favorevoli. Secondo l'indagine, infatti, a fronte di un 37% dei lavoratori che dichiara di non avere alcuna flessibilità rispetto all'orario, la quota di donne che lamenta questa difficoltà sale è al 42% e si proietta al 50% quando si parla di dipendenti pubblici. Un ulteriore elemento critico riguarda l'immobilismo nelle carriere professionali, che coinvolge il 69% degli occupati e presenta valori addirittura maggiori tra i dipendenti pubblici e tra i giovani 18-34enni (73%).
Approfondendo la dicotomia di genere emerge come le donne (che rappresentano 42% degli occupati con più di 17 anni) abbiano minori livelli di qualità del lavoro nella dimensione economica, dell'autonomia e del controllo e ciò può essere in parte spiegato da quella parte di segregazione di genere che ne limita l'accesso in determinate occupazioni e settori, ma anche dalle scelte, in alcuni casi obbligate, che queste ultime compiono in termini di investimento sul lavoro retribuito e sul lavoro di cura. In Italia l'impegno richiesto dalla conciliazione tra vita professionale e privata è una prerogativa quasi esclusivamente femminile. É la componente femminile a rinunciare frequentemente a percorsi lavorativi impegnativi che richiedono un investimento importante, soprattutto in termini di orario di lavoro. Un sintomo evidente di tale meccanismo è l'elevata quota di lavoro part-time che coinvolge le occupate, non solo nella sua componente involontaria.
Ciò porta ad influenzare negativamente anche altre dimensioni, in primis quella economica, ma anche quella del controllo, così come consente di avere un vantaggio in quella ergonomica.Seguendo invece la dicotomia per età i giovani risentono di una più bassa qualità del lavoro in termini economici, ergonomici e di controllo. Nel dettaglio la componente giovanile dell'occupazione (che rappresenta circa il 21,3% degli occupati italiani con più di 17 anni), oltre ad avere difficoltà d'ingresso nel mercato del lavoro, consegue spesso lavori caratterizzati da retribuzioni ridotte, contratti non standard (temporanei e part time) e spesso non coerenti con il titolo di studio posseduto.Ultima distinzione di rilievo è quella che riguarda gli occupati del settore pubblico e privato. Questi ultimi, secondo l'indagine, presentano i livelli peggiori di qualità del lavoro nella dimensione ergonomica e dell'autonomia mentre si posizionano meglio nella dimensione economica e della complessità, restituendo in tale modo un'immagine del settore impegnativa (in termini di orari di lavoro, stress, sforzo fisico, ecc.), eterodiretta e routinaria, ma anche redditizia, che in qualche modo restituisce dei vantaggi in termini economici, di sviluppo e di carriera. Nella posizione opposta si trovano, ovviamente, i dipendenti del settore pubblico.
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