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Addio allo Spid per l’identità unica digitale? Cosa c’è da sapere

di Manuela Perrone

Spid, Calderone: “Non serve soffermarsi sul singolo servizio, ma dare una garanzia al cittadino”

Il sottosegretario Alessio Butti ha annunciato di voler promuovere la migrazione delle identità digitali verso la Cie, per avere un unico sistema nazionale gestito dallo Stato

20 dicembre 2022
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3' di lettura

Spid o non Spid? Questo è il problema. Il Governo Meloni ha messo nel mirino il sistema pubblico di identità digitale, la chiave di accesso ai servizi online della Pubblica amministrazione. Alla festa per il decennale di Fratelli d’Italia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, Alessio Butti, è stato esplicito: «Dobbiamo cominciare a spegnere lo Spid e a promuovere la carta d’identità elettronica come unica identità digitale, nazionale e gestita dallo Stato».

Il tema dei gestori privati

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Nessuna sorpresa, per chi segue il settore. Da deputato, nel febbraio 2020 Butti aveva firmato un ordine del giorno approvato dall’Aula al decreto Milleproroghe che impegnava l’Esecutivo a lavorare all’obiettivo di uno «Spid di Stato», con il Viminale identity provider unico «e con l'erogazione dell'identità digitale dal 2021 non più affidata ai gestori privati, ma solo ad aziende pubbliche, come Poste italiane partecipata al 64% dal Mef». La richiesta era indirizzata all’allora ministra dell’Innovazione del Governo giallorosso, Paola Pisano, che si era ritrovata a gestire un sistema avviato dal 2013 e poi implementato dall’Agid, l’Agenzia per l’Italia digitale, fino al debutto ufficiale nel 2016.

Nove fornitori accreditati

Caratteristica di Spid è proprio la presenza di una serie di gestori che forniscono le identità digitali e gestiscono l’autenticazione degli utenti. Oggi sono dieci: Aruba, Intesa, InfoCert, Lepida, Namirial, Poste italiane, Sielte, SpidItalia, TeamSystem e Tim. I cittadini possono scegliere a chi rivolgersi e, attraverso Spid, usando sempre la stessa password e lo stesso nome utente, accedere con qualsiasi dispositivo ai servizi della Pa abilitati.

L’ascesa di Spid negli anni di Conte e Draghi

Negli ultimi anni la diffusione di Spid è cresciuta esponenzialmente, complici i decreti che dal 2020 hanno promosso l’accesso ai tanti bonus erogati durante la pandemia proprio tramite identità digitale. L’aumento delle identità digitali è stato poi inserito come obiettivo del Pnrr, tanto che il successore di Pisano nel Governo Draghi come ministro per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, Vittorio Colao, lo scorso maggio ha esultato per aver tagliato il traguardo dei 30 milioni di cittadini con Spid in anticipo rispetto alla tabella di marcia prevista nel Piano. Lo scorso novembre sono stati raggiunti i livelli fissati per il 2024.

Le differenze tra Spid e Cie

Secondo il monitoraggio sull’avanzamento della trasformazione digitale, le identità Spid sono arrivate a ben 33.324.270. Quasi un testa a testa con i possessori di carta d’identità elettronica, che a settembre risultavano pari a 31,3 milioni. I due sistemi, però, non sono sovrapponibili. Lo Spid garantisce una soglia di sicurezza di primo e secondo livello, non sempre del terzo, mentre la Cie - documento di identità emesso dal ministero dell’Interno e prodotto dal Poligrafico e Zecca dello Stato, rilasciato in presenza al costo di 16,79 euro, che necessita di Pin e Puk, nonché di un lettore apposito da collegare ai dispositivi - arriva al terzo livello, che è quello richiesto dagli standard di sicurezza fissati dall’Europa per l’identità digitale europea che dovrebbe vedere la luce dal 2025. Un Digital Identity Wallet, sorta di app su cui ognuno di noi potrà caricare i suoi documenti.

L’idea di una migrazione da Spid a Cie

Oggi sono diversi i siti delle amministrazioni - dal portale del reclutamento inPA all’Agenzia delle Entrate, fino all’Inps e al ministero dell’Istruzione per le iscrizioni a scuola - che permettono l’accesso ai servizi digitali utilizzando entrambi i sistemi. Già ai tempi di Pisano il Governo aveva tentato di avviare la convergenza, immaginando una procedura unica che avrebbe consentito ai cittadini di ottenere insieme Spid e Cie e riservando all’Innovazione le competenze sulla parte tecnologica. Ma il progetto si arenò per le resistenze del Viminale. Oggi Butti vuole ritentare, con un’idea più drastica: creare un’unica identità digitale, nazionale e gestita dallo Stato. Come? Innanzitutto consentendo il rilascio della Cie da remoto in 24 ore a costo zero e poi studiando una migrazione da Spid a Cie attraverso una «transizione negoziata» che coinvolga anche i gestori privati di identità digitali e sia in linea con le regole e gli standard europei. Facile a dirsi, più difficile a farsi. Almeno senza spiazzare (di nuovo) gli italiani.

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