di Andrea Carli
Il dialogo tra il cardinal Ravasi e la scrittrice Silvia Avallone
2' di lettura
La cultura come occasione di dialogo tra etica e spiritualità, nella direzione di una nuova filosofia dello sviluppo. E nel contesto di una società precipitata nell’abisso del vuoto. «Non viviamo più con un’unica cultura. La speranza è che ci sia interculturalità. Condividiamo tutti lo stesso concetto di natura umana? Condividiamo tutti lo stesso concetto di verità?». Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della cultura, è intervenuto alla cerimonia inaugurale del Festival dell’economia di Trento. E ha posto subito un interrogativo sostanziale, soprattutto se letto in questa fase di disordine, dopo la pandemia Covid e la tragedia della guerra in Ucraina. Ravasi ha dialogato con la scrittrice Silvia Avallone.
Occorre ricorrere ora più che mai alla cultura, riscoprirla nella sua attualità. «Oggi la cultura come concetto nobile è un concetto superato - ha sottolineato Ravasi -. Ora parlare di cultura vuol dire partire dal fatto che non viviamo più con un’unica cultura, come quella europea o del Nord del mondo. Abbiamo la speranza che ci sia più interculturalità, però- ha aggiunto il cardinale - abbiamo delle derive».
20 foto
Ravasi ha parlato di cio che lega filosofia, etica e spiritualità. «L’antropologia, così come la leggiamo, è la prospettiva che abbiamo è quella di definire non soltanto la pelle delle persone, ma di definire anche ciò che batte su questa pelle, che può essere anche il divino, per il credente, e dall’altra si può definire quel mistero che ci circonda». Citando Gilbert Keith Chesterton, Ravasi ha detto che «il mondo perirà per mancanza di meraviglia».
La seconda testimonianza a cui ha fatto riferimento il Presidente del Pontificio Consiglio della cultura è quella di Paul Ricoeur: “Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini”. «Pensiamo alla tecnologia, all’informatica, alla scienza. Dall’altra però quanto poco ci si interroga sul senso della vita».
«L’apolide delle nostre città è la morte. Quando ci troviamo a festeggiare il Natale, insieme, ci troviamo intorno al tavolo, e noi celebriamo insieme il Natale lasciando le due sedie che erano dei nostri genitori: non sono vuote ma registrano un’assenza. Chi nel cuore ricorda la presenza la fa vivere. Noi, invece, viviamo in una società che è precipitata nell’abisso del vuoto, che non ha più desiderio, non ha più in mente la questione di dio, del bene, del male, che non sono assenze, ma vuoti. La cultura, è cercare di colmare il vuoto. L’apateismo è il vuoto peggiore» ha spiegato Ravasi.
Per visualizzare questo contenutoapri la pagina su ilsole24ore.com
Andrea Carli
Redattore
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy