di Alberto Fraccacreta
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La prosa di Sacha Guitry è debordante, incontenibile, ricchissima di trovate salaci e frizzanti, come quella di un Robert Walser o di un Daniil Charms. Attore chapliniano, autore di centoventi commedie, regista e sceneggiatore, classe 1885, Guitry ha scritto un unico romanzo, Memorie di un baro, che ora Adelphi ripropone nell'esatta traduzione di Davide Tortorella con alcuni disegni dell'autore. Che tipo di testo è? Ce lo spiega Edgardo Franzosini: «Con il suo humour nero, il suo sorridente cinismo, la sua amoralità, le sue frasi rapide, le sue parole essenziali, Memorie di un baro ha la grazia scintillante di un apologo, gaio e pessimista, scritto per celebrare, non “il caso” – a cui peraltro l'autore lo ha dedicato –, o colui che al caso tenta in qualche modo di sostituirsi, vale a dire “il baro”, bensì “il gioco”. Il piacere del gioco».
A metà tra il funambolico protagonista del Giocatore di Dostoevskij e uno schlemihl qualsiasi (tipo quello di Jaroslav Hašek, il buon soldato Sc'vèik), il personaggio di Guitry si muove lungo i dardi della fortuna e la creatività dell'ingegno: salvo per miracolo dopo un funesto pranzo di funghi, solo al mondo, diventa prima groom in un albergo di lusso e intraprende poi una fervida carriera nei casinò europei, dimostrando quanto il caso sia «uno dei miei migliori amici».
Non può mancare, ovviamente, una lunga e minuziosa descrizione del casinò di Monte Carlo: «In tutti i casinò del mondo si comincia a giocare verso le cinque del pomeriggio. A Monaco il trattamento comincia alle dieci del mattino e prosegue fino alle due del mattino dopo, ogni santo giorno dell'anno! La mattina andavo a sedermi sui gradini già torridi dello scalone del grande albergo dov'ero stato assunto, e mi divertivo a guardare, non senza un certo sgomento, le vecchie signore – sono sempre loro le battistrada! – che aspettavano l'apertura delle porte per precipitarsi a occupare talune postazioni ritenute propizie solo perché il giorno prima avevano portato fortuna ad altre vecchie signore! Di loro non si può dire che siano delle giocatrici. Dopotutto giocare vuol dire anche divertirsi, almeno un po', di tanto in tanto. Loro no, non si divertono. Forse si sono divertite trent'anni fa, per un paio di mesi, ma da allora non si divertono più. Sono invasate e tragiche».
La narrazione prosegue ad Angoulême, in seguito con il ritorno a Monte Carlo nelle vesti di croupier e con la conoscenza della futura moglie («mi era antipatica – e mi piaceva»), fino alle vere e proprie operazioni di manomissione del baro, e al suo lancinante epilogo (impiegato in una fabbrica di carte da gioco). Come sottolinea ancora Franzosini, Guitry – per voce dell'io narrante – riesce benissimo a incarnare «un certo esprit tutto francese, anzi tutto parigino, fatto nella vita quotidiana di leggerezza, di impertinenza, di vanità, e a teatro di dialoghi fluidi e intrighi deliziosi». In particolare Guitry, attraverso una torrida e quasi selvaggia immediatezza (che non può non ricordare la tensione liberatrice di Huckleberry Finn), appare sempre in grado di mostrare al lettore l'assoluta innocenza del suo agire: furbizia e virtù di uno stile narrativo che ha il suo mantra nella vorticosa, illuminante capacità di far sorridere in qualunque occasione.
Sacha Guitry, Memorie di un baro, traduzione di Davide Tortorella, con disegni dell'autore e una postfazione di Edgardo Franzosini, Adelphi, pagg. 136, € 13,00
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