di Giorgio dell'Orefice
Anche i mercati di frutta all’ingrosso soffrono la crisi energetica
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Anche i mercati agroalimentari all’ingrosso nella morsa dell’escalation dei costi. Le strutture commerciali di media e grande dimensione, dai mercati rionali e di quartiere fino ai centri agroalimentari stanno soffrendo l’attuale congiuntura.
Si tratta di un universo che coinvolge soprattutto la filiera ortofrutticola e quella dei prodotti ittici due ambiti che sia a monte (dalle serre ai pescherecci) che a valle (con la gestione della catena del freddo oltre che con la logistica e i trasporti) è senza dubbio ad alta intensità di energia e quindi particolarmente esposto all'attuale difficile congiuntura sotto il profilo dei costi energetici.
I principali player di questo settore strategico per il comparto agroalimentare italiano sono Italmercati cui aderiscono 19 centri in 11 regioni, un fatturato di 92,1 milioni e un giro d’affari delle aziende coinvolte stimato in 9,3 miliardi di euro e circa 26mila addetti, e Fedagromercati, cui aderiscono invece 26 Associazioni territoriali, alle quali sono associate oltre 600 aziende, circa il 70% degli operatori grossisti del Paese, che contano circa 45mila addetti ai lavori, circa 11 milioni di tonnellate di prodotti movimentati e un fatturato di 12 miliardi di euro. Tre quarti di queste aziende svolge attività di commercio all’ingrosso.
Mercati e Centri agroalimentari sono attori di particolare rilevanza per l’agroalimentare italiano, poiché agiscono come punti nevralgici della filiera e luoghi di contrattazione e rivestono un importante ruolo di piattaforme logistico-distributive dei prodotti freschi. Queste strutture svolgono anche una funzione pubblica di concentrazione dell’offerta, ma anche di diversificazione dei prodotti, di controllo qualitativo e igienico-sanitario, tracciabilità e garanzia sulla trasparenza del prezzo, nonché di valorizzazione del made in Italy e delle biodiversità.
«Ci sono stati frangenti – spiega il presidente di Italmercati, Fabio Massimo Pallottini – nei quali abbiamo vissuto momenti drammatici soprattutto col settore ittico che adesso con il credito d’imposta sul carburante sta respirando un po’. L’impatto dei costi energetici sulla nostra gestione è rilevante, valgono circa un quinto del totale costi. Il punto è che poi le aziende non riversano, se non in minima parte, questi maggiori costi sui listini. Finora hanno cercato di assorbirli per venire incontro alle famiglie con un limitato potere d'acquisto. Ma quanto potrà durare? Un ristoro sottoforma di credito di imposta aiuterebbe a superare la contingenza».
L’altra leva sulla quale si sta lavorando riguarda gli investimenti, almeno quelli che già erano programmati, come l’importante ampliamento del Centro agroalimentare di Roma (Car). Un investimento che non riguarda solo l’aspetto distributivo e della logistica ma anche la trasformazione dei prodotti e soprattutto la produzione di energia.Un progetto importante che potrebbe portare fino a 200 milioni di investimento con un 40% che dovrebbero essere attivati già nei prossimi mesi.
Senza dimenticare il Pnrr che prevede uno stanziamento di 800 milioni per migliorare la logistica agroalimentare e nei quali Italmercati potrebbe essere coinvolta in quanto organizzazione degli enti di gestione dei centri agroalimentari.
«Noi invece abbiamo meno margini di manovra – spiega il presidente di Fedagromercati (che rappresenta gli operatori e i grossisti che operano all'interno delle strutture), Valentino Di Pisa –. Commercializziamo soprattutto prodotti ortofrutticoli che sono deperibili e che quindi vanno venduti rapidamente. In questa ottica abbiamo chiesto l’abbattimento dell’Iva sui prodotti energetici, la cancellazione per il 2022 delle relative accise e l’azzeramento per almeno dodici mesi dell'Iva sulla vendita di ortofrutta attualmente prevista al 4 per cento».
Dove non ci si mette la difficile congiuntura arriva la burocrazia. «In questa fase – aggiunge Di Pisa – stiamo scontando difficoltà nell'applicazione delle nuove norme contro le pratiche sleali che ci richiedono di stipulare accordi quadro con i nostri acquirenti. Accordi quadro e dettagli che per la tipologia delle transazioni del nostro settore sono difficili. L’acquirente compra dopo aver visto la merce, non a scatola chiusa. E con modalità sempre differenti per quantità, prezzo, modalità di pagamento. Il contrario di un accordo quadro». «Senza contare - conclude Di Pisa - che le nuove regole prevedono che ogni transazione avvenga con un contratto scritto ad hoc e non basta la fattura. Questo ci espone a nuovi adempimenti burocratici e soprattutto a pesanti sanzioni. Abbiamo chiesto un chiarimento al Mipaaf, speriamo arrivi presto».
Giorgio dell’Orefice
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