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Mezzogiorno, Pnrr ultima chiamata. Il Pil è metà di quello del Nord

di Carlo Marroni

Meloni: Pnrr non va stravolto ma necessario valutare modifiche

Riprende l’emigrazione di massa. Sullo sfondo uno tsunami demografico

26 gennaio 2023
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3' di lettura

Il Pnrr è l’opportunità più importante per il rilancio del Paese. Per il Mezzogiorno d’Italia è forse l’ultima chiamata per ridurre i divari enormi che lo sperano dal Centro-Nord del Paese. I divari che restano sono considerevoli, il Pil pro capite è circa la metà di quello dei residenti al Nord, i gap riguardano la maggior parte dei campi della vita sociale, e sullo sfondo si profila uno “tsunami demografico”. L’Istat nel rapporto “I divari territoriali nel Pnrr - dieci obiettivi per il Mezzogiorno” fornisce una fotografia dinamica delle varie aree del Paese e ricorda che il Mezzogiorno è il territorio arretrato più esteso dell’area euro – vi risiedono 20 milioni di persone, un terzo del totale - che ha sofferto in modo accentuato la grande crisi del 2008 e, da ultimo, l’impatto della pandemia.

«Quello dei ritardi del meridione d’Italia è da più di un secolo una priorità nazionale e un ambito privilegiato di attenzione nel dibattito e nelle politiche per lo sviluppo e la coesione sociale». E rispunta il termine “questione meridionale”, che è un punto qualificante del Pnrr, cui viene dedicata una priorità trasversale («ridurre i divari di cittadinanza») e destinate risorse ingenti (circa il 40% del totale) per finanziare riforme e interventi, talvolta esclusivi per le otto regioni del Sud. Quindi il tema centrale riguarda da sempre i divari.

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Il Pil del Mezzogiorno è la metà di quello del Centro Nord

Partiamo da quello più evidente: da oltre un ventennio il pil pro-capite nel Mezzogiorno si aggira intorno al 55-58% del Centro-Nord; nel 2021 il Pil reale è di circa 18mila euro (33mila nel Centro-Nord). Tutto il Mezzogiorno si colloca sotto la media nazionale: la Regione di coda (Calabria) ha un Pil pro-capite pari al 39,5% della migliore (Trentino Alto Adige). Poi i livelli d’istruzione: nel 2020, un terzo (32,8%) dei meridionali in età 25-49 anni (24,5% nel Centro-Nord) ha concluso al più la terza media; il 22,6% (27,6% nel Centro-Nord) ha un titolo terziario.

La distanza sul lavoro

La condizione lavorativa vede fortemente penalizzati i giovani meridionali. Dal 2000 in poi si registrano abbastanza stabilmente circa 3 occupati ogni 10 in meno nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord (25-34 anni). Tranne rare eccezioni, l’intero Mezzogiorno presenta tassi di occupazione giovanile molto inferiori alla media. Tutto questo genera una ripresa dell’emigrazione di massa. Nel 2020, Sud e Isole hanno perso ben 42 giovani residenti (25-34 anni) ogni 100 movimenti anagrafici nei flussi interni extra-regionali (+22 nel Centro-Nord) e 56 su 100 in quelli esteri (49 nel Centro-Nord).

Reti idriche obsolete

Nelle infrastrutture l’obsolescenza delle reti idriche è un fattore critico data la sempre più grave siccità. Nel Sud spesso si registrano perdite per circa la metà dell’acqua per uso civile. Livelli di inefficienza superiori alla media caratterizzano tre quarti delle province del Mezzogiorno (1/4 nel Centro-Nord). «Gli esiti dei ritardi del Mezzogiorno stanno accentuando le fragilità della sua struttura socio-economica attraverso una sorta di “tsunami demografico”. Si tratta di un processo piuttosto ben delineato e di portata rilevante, che merita grande attenzione perché sembra prospettare un impatto inedito sulla struttura demografica di queste comunità. Se non si riesce a porre un freno, le tendenze in atto possono condurre verso un’involuzione progressiva e non sostenibile del capitale umano di molta parte del Mezzogiorno, che storicamente è stato il suo principale patrimonio».

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