di Casadei, Meneghello, Ronchetti, Biondi, Vesentini
Marka
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I freni al carbonio ceramico di Brembo, le macchine per impacchettare il the di tutto il mondo di Ima, i sistemi di pompaggio evoluto di Interpump, i test per diagnosticare le infezioni da virus Zika di Diasorin e le piattaforme digitali di configurazione di Reply. Sono le innovazioni tecnologiche e di prodotto che hanno spinto le multinazionali tascabili del made in Italy in testa alla classifica delle performance finanziarie a Piazza Affari. Dietro questi risultati c’è un unico comun denominatore: investimenti in innovazione e ricerca superiori alla media delle imprese italiane.
Brembo, carbonio ceramico e freni da Formula 1
Freni in carbonio ceramico. È questa l’innovazione tecnologica che ha dato la svolta alla multinazionale bergamasca leader mondiale nella costruzione di sistemi frenanti per l’automotive e i veicoli industriali. Dalle piste negli Anni Settanta, sulle moto e poi sui bolidi di Formula 1, sono arrivati alle auto di altissima gamma (da Aston Martin a Corvette...) e, in un futuro vicinissmo sulle auto di serie. Alberto Bombassei, leader del gruppo di Stezzano, con i laboratori di ricerca al Kilometro Rosso disegnato da Jean Nouvel, nel 1961, quando, giovanissimo, lavorava con il padre Emilio, fondatore della piccola Officine meccaniche di Sombreno, non poteva immagine un approdo di questo genere. Fornitore di tutti i gruppi leader dell’automotive, da Mercedes a Ferrari (dal 1975 anche la Formula 1), da Bmw a Fca, stabilimenti in sedici Paesi in tutto il modo e seicento ricercatori attivi sul prodotto, con investimenti in R&S tra il 5 e il 7% del fatturato. E brevetti su brevetti applicati alle singole marche: le pinze a ponte per Mercedes, i dischi flottanti per Wolkswagen, quelli a ventilazione per la Lancia Thema... I nuovi siti in Usa, Messico, Cina, Polonia e Italia che entrano a regime e portano un significativo aumento della capacità produttiva. Uno sforzo proiettato a Industria 4.0 con la digitalizzazione di molte linee e la formazione di nuove figure professionali. Con le joint venture in India e Cina, l’obiettivo è la conquista dei mercati asiatici
Diasorin, i test per scovare le infezioni da Zika
La diagnostica è la tua vita, la diagnostica è vita. Con questo motto DiaSorin, la multinazionale della diagnostica in vitro, da un piccolo paese in provincia di Vercelli, Saluggia, è andata alla conquista del mondo. E oggi in 60 Paesi sono presenti quasi 4.500 sistemi riconducibili alla Diasorin, spiega l’amministratore delegato Carlo Rosa. È un mercato non facile quello dove DiaSorin compete con la forza che proviene da investimenti in ricerca e sviluppo. Oggi valgono tra il 5% e il 6% del fatturato e permettono di lanciare da sei a otto saggi diagnostici ogni anno, inclusi i nuovi test di diagnostica molecolare. La cronaca ha fatto circolare il nome della DiaSorin soprattutto perché la società ha sviluppato il primo test per l’identificazione delle infezioni causate dal virus Zika, che possono avere conseguenze gravissime per l’uomo e per i nascituri, ma le aree cliniche d’interesse sono multidisciplinari: DiaSorin può fare leva su una posizione di leadership su test ad alto valore aggiunto sulla Vitamina D 1,25, sullo screening prenatale, sui test per l’ipertensione e per epatiti e per i retrovirus.
I fiori all’occhiello tra i sistemi di cui DiaSorin è fornitore esclusivo si chiamano «Liaison» e «Liaison xl», sistemi chiusi, all’avanguardia e completamente automatizzati che da Vercelli arrivano in tutto il mondo grazie a una presenza commerciale globale diretta e indiretta.
Ima, in 500 progettano macchine per tè, caffè e farmaci
Dalle macchine per il confezionamento del the alle nuove linee di produzione per i motori elettrici, passando dalle tecnologie per il pharma, l’alimentare e la cosmetica: il gruppo bolognese Ima punta alla leadership globale in tutte le nicchie dell’automazione di processo e di confezionamento, per coprire a 360 gradi tutte le filiere industriali. Partita da Bologna, cuore del distretto del packaging emiliano, nel 1961 con gli impianti per imbustare il the (settore dove oggi Ima è numero uno al mondo con il 70% del mercato) la multinazionale in mano alla famiglia Vacchi – e quotata dal 1995 allo Star – è oggi il competitor più agguerrito dei tedeschi grazie a una strategia di merger and acquisition che non conosce sosta da due anni a questa parte. «Il nostro obiettivo è allargare le specializzazioni e diventare un gruppo omogeneo di aziende, ciascuna leader nel proprio segmento, unico nel panorama mondiale di settore e perfettamente complementare al consolidato packaging di Ima», spiega Alberto Vacchi, presidente e ad della holding, 5.200 dipendenti (2.600 all’estero) tra i 39 stabilimenti produttivi in Europa, Stati Uniti, India, Malesia, Cina e Argentina e la rete commerciale in 80 Paesi. L’innovazione di prodotto e processo è il driver non solo degli investimenti interni in R&S, che lo scorso mese hanno portato al debutto di una divisione ad hoc dedicata all'Industry 4.0 (“Ima Digital”, oltre 30 milioni in progetti operativi in fabbrica assieme ai clienti di robotica e IoT) ma anche del percorso di crescita per linee esterne. Così si spiega l’M&A della settimana scorsa, quando Ima – assieme al fondo Charme – ha finalizzato l’ingresso nella maggioranza del capitale di Atop, società fiorentina con 500 brevetti nelle tecnologie per la produzione di motori elettrici, settore ad altissime potenzialità legate ad automotive ed e-mobility. E se a dicembre l’acquisizione del 70% dell’argentina Mai Sa era legata all’opportunità di presidiare direttamente il mercato sudamericano nel business storico del the, i precedenti deal avevano tutti come fil rouge l’arricchimento di tecnologie per l’automazione, dalle due operazioni nel segmento del caffè a Parma (Mapster) e Ferrara (Petronicini Impianti) ai poderosi closing internazionali di inizio 2016 di Medtech e Telerobot, due top player mondiali nelle macchine per il processo e il confezionamento di pharma & food. E da qui ai prossimi mesi il presidente ha già preannunciato un’accelerazione della campagna di shopping e di alleanze, che avvicinerebbe l’obiettivo del miliardo e mezzo di fatturato a fine 2017, ovvero quasi il 50% in più di business in soli 24 mesi.
Interpump, pistoni professionali in tutto il mondo
Cina, Brasile, Corea del Sud e India. È tra Sudamerica e Asia che si focalizza la strategia di crescita sui mercati esteri di Interpump Group, sede a Sant’Ilario D’Enza, in provincia di Reggio Emilia, leader mondiale, con una quota del 50%, sul mercato delle pompe a pistoni professionali e tra i principali gruppi nel settore dell’oleodinamica. È da questi quattro Paesi che arrivano le principali opportunità di espansione per una holding dal forte profilo internazionale che dal 2010 ha visto quasi raddoppiare i propri ricavi. Con quasi 6mila dipendenti e un fatturato che nel 2016 ha sfiorato i 923 milioni di euro, il gruppo è infatti presente in quasi tutto il mondo con circa un centinaio di sedi, tra filiali commerciali e stabilimenti produttivi. L’83% delle vendite vengono realizzate all’estero, con gli Stati Uniti e l’Europa in prima fila: questi due sbocchi assorbono circa i due terzi della produzione. Dal 1996 ad oggi Interpump ha portato a termine circa una sessantina di acquisizioni, le ultime due a Bristol (Regno Unito) e a Girona, in Spagna.
Reply, padre e figlia studiano soluzioni digitali «tailor made»
Internet delle cose, analisi dei big data, cloud computing, CRM, social media, e-commerce, mobile payment e oggi anche blockchain. Sono questi alcuni dei pilastri dell’attività di Reply, system integrator nato a Torino nel 1996 da alcuni manager IT e diventato un gioiellino mondiale. Reply collabora con i principali gruppi industriali europei di telecomunicazioni, servizi, banche e assicurazioni, oltre che con alcune pubbliche amministrazioni. È una società che abilita servizi high tech e comunicazione all’interno delle aziende permettendo, per esempio, con soluzioni «tailor made» di analizzare i dati che arrivano dai punti di contatto dalle aziende. La società abilita la trasformazione digitale all’interno delle imprese.
Il presidente Mario Rizzante è stato fra i fondatori dell’azienda. Il ceo è la figlia Tatiana Rizzante. La società ha sede centrale a Torino ed è presente con uffici all’estero in Regno Unito, Germania e Stati Uniti. Già nel 2004 era, secondo Forbes, tra le prime 25 società italiane a maggior tasso di crescita.
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