di Giovanna De Minico
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Pandemia e guerra. Quale relazione corre tra questi eventi? Alcuni attributi li rendono tristemente simili. In quanto eventi straordinari, che rompono il corso ordinato delle cose, immediati e ora ricorsivi, richiedono una risposta istituzionale straordinaria, tempestiva: uguale e contraria all’evento da cui difendersi. Una risposta il cui fine ultimo è la sopravvivenza dell’ordinamento, medio tempore costretto a subire deroghe al suo ordine costituito a condizioni che queste siano indispensabili e limitate al tempo necessario per rientrare nella normalità. Questo lessico lo abbiamo già sentito: chi scrive lo usò sulle colonne di questo giornale e in scritti scientifici per interrogarsi su quanto sarebbe rimasto dell’assetto istituzionale una volta finito il Covid. Ebbene, le stesse parole le risentiremo con la guerra. Entrambi gli eventi esigono una politica dell’emergenza, che comporta la concentrazione dei poteri pubblici in capo all’esecutivo, quindi in danno dell’assemblea elettiva, perché il primo più agile e quindi geneticamente più adatto a gestire il fatto emergenziale a discapito di una lenta dialettica democratica, tipica delle decisione corali e trasparenti dell’assemblea rappresentativa. Tali provvedimenti hanno toccato e continueranno a toccare l’intero fascio delle libertà fondamentali, sottoponendole a forzose cure dimagranti. Si pensi alle nostre libertà di riunione o di iniziativa, di fatto ridotte a un lumicino dalle più o meno rigide segregazioni domestiche dettate dalla paura del contagio.
Ora un altro terrore si sostituisce a quello dal quale ci eravamo quasi liberati: la guerra. Con essa assisteremo inermi a un film già visto, calato dall’alto. Già sono percepibili alcuni indizi poco confortanti: la nostra libertà di essere informati è stata compressa con la chiusura dei siti russi fintamente pluralisti, perché danno una rappresentazione della guerra proprio come piace a Putin. Essa è presentata come un rimedio difensivo della Russia che, minacciata alla frontiere e mossa da spirito altruistico, corre in soccorso di altri popoli, violati nel loro diritto nell’autodeterminazione delle genti ucraine. Eppure, quei siti con le loro falsità macroscopiche potevano rimanere aperti. Avrebbero prodotto l’effetto inverso: rafforzato il nostro convincimento che Putin è un falsificatore della realtà e quindi dell’informazione. Anche la politica energetica del singolo Stato pagherà un caro prezzo, sacrificando la sua autonomia decisionale a vantaggio dell’Europa, la sola a dover decidere se e quando non acquistare più il gas russo. Certo potremmo reagire con le fonti alternative, o accelerando la transizione energetica, ma la risposta deve essere qui e ora. Quindi, le nostre libertà di iniziativa economica e con essa la nostra politica industriale scivoleranno forzosamente su terreni alternativi e immediatamente praticabili che, in assenza della crisi ucraina, difficilmente avremmo percorso.
Ancora un elemento accomuna pandemia e guerra, questo però non riguarda l’endiadi potere/libertà, bensì le sedi della decisione, esterna e interna. Anche la guerra, come il Covid, è un processo che si consuma fuori dell’orto di casa, non diversamente da Internet; solo che i primi due sono esclusivamente negativi, Internet invece può essere positivo o negativo a seconda di come viene orientato. Intendo dire che questi processi non sono contenibili entro le mura domestiche, superano confini geografici e ci proiettano su scenari globali, che potrebbero avere effetti positivi a certe condizioni. Quali? Ci obbligano a fare i conti con chi è fuori del nostro confine, i profughi ucraini; al tempo stesso obbligano il decisore interno a misurarsi in consessi sovranazionali. Al tavolo delle future scelte sull’energia alternativa, sulle sanzioni bancarie o sul blocco dell’importazioni russe dovranno sedere tutti i 27 Stati, diversamente le decisioni per quanto severe non serviranno a nulla. Il primo effetto positivo, cioè le decisioni a difesa del bene comune del popolo europeo, si deve completare con un nuovo concetto di competenza. La protezione di beni sovranazionali deve essere affidata al rappresentante plurale e analitico dell’intero popolo sovrano: il Parlamento europeo, non la Commissione, come è invece accaduto con il Covid, e come si sta ripetendo con la guerra. Forse questi due risultati sono l’unico positivo nato da processi negativi. Lavoriamo perché ciò accada.
Professoressa di Diritto costituzionale, Università Federico II, Napoli
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