di Valentina Melis
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Donna, in età lavorativa, dedita al mestiere di collaboratore domestico: colf, badante o baby sitter. È l’identikit della maggior parte dei cittadini ucraini presenti in Italia. Si tratta di 236mila persone, per il 77,6% donne, con un’incidenza del 4% sul totale degli stranieri residenti in Italia (che sono 5,7 milioni), come rivelano i dati elaborati dalla Fondazione Leone Moressa per l’associazione Domina (associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico).
L’Italia è il primo Paese europeo per presenza di cittadini ucraini. In base ai dati Eurostat (2020), su circa 800 mila ucraini residenti nella Ue a 27, oltre un quarto si trova nel nostro Paese. L’Italia è anche il Paese con più donne ucraine: le 177 mila residenti sono circa il 37% di tutte le donne ucraine in Europa.
La maggior parte della popolazione ucraina in Italia ha un’età compresa fra 15 e 64 anni (80,4%), i bambini sono l’8%, gli anziani l’11,6 per cento. Sono quindi soprattutto le donne ucraine ad arrivare in Italia per lavorare. Per il 65% i cittadini ucraini lavorano nei servizi alla persona. Il 15% lavora nei servizi e nella ristorazione, il 9% nei trasporti e nei servizi alle imprese, il 9% nell’industria, il 2% in agricoltura, caccia e pesca (dati Istat).
Il tasso di occupazione delle cittadine ucraine in Italia è nettamente superiore, sia rispetto a quello delle italiane, sia rispetto a quello delle donne straniere residenti nel nostro Paese. Oltre 66 donne su 100 ucraine lavorano, mentre il tasso di occupazione delle italiane è del 50 per cento e quello delle straniere in Italia è del 49 per cento.
Per gli uomini, invece, il tasso di occupazione degli ucraini è del 59,9%, inferiore a quello degli italiani (67,3%) e degli stranieri in Italia (74%). Il 15% di tutti i lavoratori domestici regolari censiti dall’Inps è ucraino (92.160): sono badanti 59mila, mentre le colf sono quasi 33mila. Solo la Romania ha una maggiore rappresentanza fra i lavoratori domestici stranieri, con 156.855 addetti (regolari). I romeni, comunque, sono il gruppo più numeroso fra gli stranieri residenti in Italia, con 1,13 milioni di residenti, circa 5 volte di più rispetto agli Ucraini.
A livello regionale, il 23% degli ucraini risiede in Lombardia. Segue la Campania con il 17,4% e l’Emilia Romagna (14,1%). Ma se consideriamo l’incidenza sul totale degli stranieri residenti, la comunità in Campania è decisamente rilevante: in questa regione il 16,5% degli stranieri ha la cittadinanza ucraina. Tutte le regioni hanno una maggiore prevalenza femminile. La provincia di Napoli presenta la più alta numerosità di cittadini ucraini (22 mila), seguita da Milano (19mila) e Roma (19mila).
La mappa per provincia della distribuzione della popolazione ucraina in Italia, evidenzia che in tre province, Napoli, Milano e Roma, sono concentrati il 26% di tutti i residenti con cittadinanza ucraina in Italia (61 mila).
Nella maggior parte dei casi i cittadini ucraini hanno un permesso di soggiorno di lungo periodo (78%). Si tratta dunque di una popolazione stabile in Italia. Infatti, solo 2 ucraini su 10 hanno un permesso in scadenza. Gli ingressi nel 2020 sono stati oltre 3 mila, valore dimezzato rispetto agli anni precedenti, probabilmente per la pandemia di Covid-19. Il motivo principale degli ingressi resta il ricongiungimento familiare, solo nel 12,6% dei casi il permesso è lavorativo.
Nel primo semestre 2021 i lavoratori ucraini in Italia hanno inviato al loro Paese 141 milioni di euro. L’Ucraina è il decimo Paese per volume delle rimesse nel primo semestre 2021. Secondo Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina, «la crisi ucraina di questi giorni potrà avere ripercussioni anche sul nostro Paese, vista la forte presenza di cittadini ucraini e il loro ruolo nel nostro sistema di welfare e assistenza familiare. Ci sono donne - continua - che hanno il marito all’estero, in un altro Paese, e i figli in Ucraina: stiamo raccomandando alle famiglie datrici di lavoro domestico di mettere a disposizione wi-fi, telefono e ogni altro mezzo per poter aiutare queste lavoratrici e per favorire, se possibile, il ricongiungimento familiare».
Valentina Melis
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