di Dario Ricci
Qatar 2022, morto Grent Wahl: pochi giorni prima il premio dalle mani di Ronaldo
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Autostrade che attraversano il deserto, quasi lo arano, fino a venire inghiottite dalle dune, dalla sabbia; ai lati della strada, da una parte e dall'altra, pozzi petroliferi e raffinerie; più avanti invece, laddove il deserto (ri)prende ormai il sopravvento, castelli, roccaforti, altri suk. Fagocitati dal miraggio pallonaro, attraverso i racconti di chi invece il Qatar prova a viverlo al di fuori dei suoi stadi, altri paesaggi, altre storie, altre vite emergono come miraggi dal liquido orizzonte su cui poggiano i grattacieli senza fine di West Bay.
Vien voglia di tuffarcisi, in quella sabbia e in quelle dune, per provare a entrarci dentro l'anima di questo Paese che tra scandali, contraddizioni, investimenti, sport-washing s'è accreditato nei salotti buoni del globo. Immersione rimandata, almeno fino a domenica 18 dicembre, quando sapremo chi la solleverà al cielo, la Coppa disegnata dal maestro milanese Silvio Gazzaniga.Intanto tiene banco un dibattito etico discretamente meno elevato rispetto a quello relativo ai diritti umani e civili negati; insomma, un dibattito a misura di universo pallonaro, perché il pallone ha questo sinistro potere, quello di ridurre a sua misura non solo etica, ma pure politica, economia, religione e quindi pure teologia!
Ovvio il riferimento alle risse, alle tensioni, agli scherni (e agli scorni) tra argentini e olandesi: ha fatto bene l'Albiceleste a sbeffeggiare i tulipani dopo il rigore decisivo trasformato da Lautaro? O è stata almeno legittimata, quella reazione, dalle precedenti provocazioni orange, in una sfida che ben si è inserita come (finora) ultimo capitolo di una saga mundial che di sicuro qualcuno sta già pensando di farci un film o un libro? Questione etica che – come spesso accade – lascia più interrogativi di quanti non ne risolva. Di certo, il calcio è una cosa sporca, in tutto e per tutto simile ai bipedi che lo giocano e se ne appassionano; e allora, per chi lo vorrà, ci sarà da fare gran lavoro in casa per spiegare a quel bambino o bambina che quel gesto di scherno o quella provocazione non è da ripetere al campetto sotto casa, o la domenica mattina nella partita del campionato Pulcini, perché lo sport professionistico ha le sue regole, o meglio i suoi linguaggi, unici e non riproducibili.
Riproducibile il più possibile dovrebbe invece essere l'abbraccio che un Neymar addolorato fino alle lacrime per l'eliminazione subìta per mano (e piede) anche del padre, ha regalato comunque a Leo, 10 anni, il figlio di Ivan Perisic; conseguenza, quell'abbraccio, anche di quello che lo stesso Perisic aveva regalato poco prima a O'Ney, per consolarlo dopo avergli inflitto una delle più grandi amarezze nella sua carriera. Ecco se quel gioco sporco che il calcio riesce a far germogliare anche gesti come questi, allora varrà sempre la pena vedere un pallone continuare a rotolare, anche tra le dune di un deserto che sembra continuare all'infinito.
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