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La spinta del G7, cosa chiedono i Grandi alla Cina sull’origine del virus

di Nicola Barone

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(REUTERS)

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Va accertato se sia «un esperimento andato storto», dice Biden. Dalla scarsa trasparenza rischi per nuove pandemie

14 giugno 2021
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3' di lettura

Una indagine internazionale cui sia dato accesso anche in Cina per la raccolta di tutte le informazioni necessarie a far luce sulle origini del coronavirus. Nel linguaggio diplomatico a conclusione del vertice a Carbis Bay i Grandi del mondo sollecitano una verifica «tempestiva e trasparente» che rimane comunque prioritaria negli equilibri geopolitici, dietro spinta degli Stati Uniti, malgrado i leader mantengano massima prudenza su responsabilità dirette od omissioni. Da Pechino si attendono passi formali per permettere nuove ispezioni nei propri laboratori consentendo una volta per tutte a tecnici indipendenti di accertare se SARS-CoV-2 sia stato o meno il risultato di «un esperimento andato storto», nella sintesi fatta da Joe Biden. La mancanza di trasparenza potrebbe produrre in futuro analoghi shock planetari.

Batti e ribatti sull’incidente

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Sinora si è dimostrato impossibile andare molto oltre le supposizioni. Ancora pochi giorni fa un esperto francese di biosicurezza che ha supervisionato la costruzione e l’accreditamento del laboratorio di biosicurezza di livello 4 (BSL-4) del Wuhan Institute of Virology (WIV) respingeva la teoria della fuoriuscita del coronavirus dalla struttura. Di contro a insistere sull’esistenza di prove raccolte dall’intelligence americana è l’ex segretario di Stato Mike Pompeo. L’esponente di peso della vecchia amministrazione Trump sostiene la teoria del laboratorio dalla scorsa primavera ed è stato alla guida di una task force del Dipartimento di Stato per indagare le origini del Covid.

Nel genoma una traccia

C’è da dire che un gruppo di scienziati di primo piano ritiene poco affidabile l’indagine condotta a suo tempo dall’Oms. In mancanza di dati più completi è nelle innumerevoli sequenze genetiche e nelle pieghe della struttura molecolare delle sue proteine che si sta cercando la risposta sull’origine di SARS-CoV-2. È stata Nature a sintetizzare sul suo sito i punti a favore dell’una e dell’altra ipotesi. «È una sfida: al momento non ci sono elementi sufficienti per sostenere l’ipotesi dell’origine naturale, come non ce ne sono per sostenere l’ipotesi della fuga da un laboratorio», ha osservato Gianguglielmo Zehender ordinario di Igiene dell’Università Statale di Milano. Sicuro è che «stiamo assistendo a qualcosa di mai visto prima in modo così diretto, ossia l’adattamento di un virus al suo ospite». Finora «non c’erano infatti gli strumenti che permettessero di fare una cosa simile, nemmeno nella pandemia di influenza del 2009».

La “vicinanza” ai pipistrelli

Tra i primi elementi a favore dell’ipotesi naturale c’è la grande somiglianza del virus SARS-CoV-2 con il coronavirus dei pipistrelli, gli animali noti per esserne il più importante serbatoio naturale. Tuttavia non si è ancora individuato l’animale in cui il virus dei pipistrelli si è modificato in modo da diventare infettivo per l’uomo e questo, secondo alcuni esperti sentiti da Nature, potrebbe essere un punto a favore dell’ipotesi di un’origine in laboratorio. «È anche vero, però, che non conosciamo il serbatoio naturale di molte altre infezioni», osserva Zehender. A favore dell’origine naturale c’è poi la stessa evoluzione del virus SARS-CoV-2 che all’inizio era poco trasmissibile, ma nel tempo abbiamo visto che ha imparato a trasmettersi facilmente. Il virus accumula mutazioni e vediamo le sue varianti in azione: “Mentre si trasforma acquisisce nuove capacità, selezionando le mutazioni più efficaci”. È così che la variante Alfa (l’inglese secondo la vecchia terminologia) ha finito per prevalere sulle altre. Il fatto che dal gennaio 2020 si raccolgano le sequenze del virus ha permesso di spingere l’analisi a un livello di grande dettaglio, per esempio portando alla luce caratteristiche di alcuni amminoacidi che potrebbero far propendere per un’ipotesi o per l’altra.

Sotto la lente la proteina Spike

In entrambi i casi l’attenzione si concentra sulla proteina Spike che il virus utilizza per penetrare nelle cellule. Per esempio, c’è chi vede l’indizio di una possibile origine in laboratorio in alcune osservazioni che indicano, sulla proteina, un sito attivato da un enzima della cellula umana chiamato furina, che non sarebbe presente su altri coronavirus. È anche vero che «stiamo vedendo spesso delle mutazioni nel sito di legame al recettore, sono adattamenti del virus al loro ospite», osserva Zehender. «Posto che tutti dicono che non ci siano prove definitive né per un’ipotesi né per l’altra, mi sembra - rileva - che ci sia un certo accanimento, giustificabile, nella ricerca di elementi che indichino che l’origine venga da un laboratorio. Non vorrei che questo facesse passare in secondo piano il problema più serio, ossia che siamo stati presi in contropiede da questa pandemia. Non dobbiamo fare questo errore: è una brutta storia che abbiamo affrontato con mezzi inadeguati e facendo degli sbagli».

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