Norme e Tributi
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Norme e Tributi

Sul riordino delle agevolazioni l’ipoteca dei 39 maxi sconti

di Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

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(LAPRESSE)

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Verso la riforma. L'86% degli 83,2 miliardi di gettito perso per le tax expenditures deriva dai bonus con un costo superiore ai 500 milioni. Record per le misure sull'edilizia, finora trainate dalle cessioni

20 febbraio 2023
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3' di lettura

Sfoltire la giungla delle agevolazioni: sono anni che se ne parla senza risultati, e ora che il Governo ha riaperto il dossier della riforma fiscale il tema torna in agenda. Se si guarda il groviglio dei bonus, si capisce perché finora sia stato fatto così poco: le tax expenditures censite dagli esperti del ministero sono 626 e nel 2023 costeranno allo Stato 83,2 miliardi; ma 71,5 miliardi – l’86% del totale – sono assorbiti da 39 maxi sconti (cioè agevolazioni con un costo annuo superiore a 500 milioni).

È una situazione che in passato ha paralizzato diversi tentativi di riordino: tagliare le agevolazioni maggiori ha un impatto pesante su molti cittadini e imprese; intervenire su quelle minori crea malcontento senza spostare gli equilibri.

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Bonus casa in testa

Gli sconti fiscali più pesanti sono quelli per il recupero edilizio. Qui si sente anche l’effetto del superbonus, che però – nella classificazione degli esperti – non ha una categoria a sé, ma è spalmato tra i vari bonus ordinari. Ad esempio, i 4,7 miliardi di ecobonus includono sia il tradizionale incentivo del 55-65% per il miglioramento energetico, sia quello potenziato al 110 per cento. Per avere un’idea, nel 2019 – prima del superbonus – la commissione del ministero guidata da Mauro Marè stimava per l’ecobonus ordinario un costo annuo di 2,1 miliardi.

L’effetto del superbonus si intravede poi nel costo annuo del sismabonus (1,8 miliardi) e della detrazione sulle ristrutturazioni (9,8 miliardi). Un incentivo, quest’ultimo, che nella sua formula base al 50% è stato trainato anche dal boom delle cessioni e degli sconti in fattura. Così come il bonus facciate, il cui costo è lievitato fino a quasi 2,1 miliardi annui (e pensare che il Rapporto 2020 stimava 378 milioni!).

Tutte le detrazioni per l’edilizia nel 2023 – stimano gli esperti – graveranno per 19,2 miliardi sulle casse statali. Il che contribuisce a spiegare la frenata imposta alle cessioni la scorsa settimana dal Governo.

Le agevolazioni «sempreverdi»

Tra gli altri maxi sconti ci sono alcuni grandi classici del modello 730. Dalla detrazione sulle spese mediche (3,7 miliardi) alla deduzione della rendita catastale dell’abitazione principale (3,4 miliardi), fino alla deduzione dei contributi alla previdenza complementare (2,4 miliardi). Tutte misure, peraltro, che i Governi han sempre considerato “intoccabili”.

Altre tax expenditures largamente usate dai contribuenti – e ora non in discussione – sono la cedolare secca sugli affitti (2,7 miliardi) e il regime forfettario (altri 2,7 miliardi), il cui costo è destinato a crescere con l’innalzamento a 85mila euro della soglia di ricavi per l’accesso.

Gli incentivi alle imprese

Un pacchetto consistente di sconti fiscali dà invece sostegno – con varie formule – agli investimenti delle imprese. Crediti d’imposta e deduzioni maggiorate sui beni strumentali e i beni “Industria 4.0”, bonus ricerca e sviluppo, Patent box: nel complesso valgono 11,4 miliardi.

Al contrario dei bonus edilizi, che negli ultimi tempi hanno ricevuto un’attenzione continua, gli incentivi agli investimenti e all’innovazione sono stati trascurati dall’ultima manovra. In prospettiva, però, pare difficile farne a meno, anche per accompagnare la transizione ecologica imposta dall’Unione europea.

Una crescita continua

Il riordino delle tax expenditures è stato più volte raccomandato anche dalla Commissione Ue. Ma, nella stasi delle iniziative politiche, le spese fiscali hanno continuato a crescere. Nel 2016, quando al Mef è stata istituita la Commissione incaricata di monitorarle, se ne contavano 444: nell’arco di sette anni si sono aggiunte 182 voci (+40%). È una crescita quasi “congenita”, che prescinde dalla crisi da Covid-19, perché molte misure di aiuto prese dal 2020 al 2022 sono state provvisorie, e quindi «non sono state ritenute spese fiscali», come spiega l’ultimo Rapporto. Non solo. Gli esperti del ministero osservano – oltre al gettito perduto – che il numero delle spese fiscali in Italia è uno dei più elevati tra i Paesi Ocse. Nonostante molte voci – che alcuni Paesi mettono comunque in elenco – siano state escluse dal computo, in quanto considerate “strutturali”.

«La difficoltà di revisionare le spese fiscali concentrandosi sugli interventi sotto i profili dell’equità, dell’efficienza, delle funzionalità varie non è un problema solo italiano», ha ricordato in Senato il direttore generale delle Finanze, Giovanni Spalletta. Resta il fatto che nel periodo 2017-2023 le tax expenditures hanno causato minori entrate per il 6% del Pil (dal +5% nel 2017 al +6,3% nel 2023). E qualsiasi ricetta futura che voglia avere un certo impatto non potrà trascurare i maxi sconti.

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