di Marco Alfieri
(Imagoeconomica)
2' di lettura
La mitica antenna Rai di Milano era già diventata monumento storico per volontà delle Belle Arti, dopo il suo spegnimento nel 2015, quando i segnali vennero spostati nella nuova torre in cima al grattacielo Isozaki, nel patinato quartiere di CityLife. Tra un po’ sarà dunque ufficializzata anche la vendita della sede storica, Corso Sempione 27. Studi, uffici, teatri, archivi e magazzini traslocheranno nel vicino Portello, negli spazi della vecchia fiera.
È la fine di un’epoca, forse del Novecento televisivo se è vero che questi studi sono stati la culla della televisione italiana, correvano gli anni Cinquanta-Sessanta, quando Milano ebbe un ruolo dominante rispetto agli altri centri di produzione Rai di Roma e Torino (poi si aggiunse anche Napoli).
Progettata nel 1939 da Giò Ponti, lo stesso architetto del Pirellone, e dall’ingegner Nino Bertolaia, la sede di Corso Sempione fu in realtà realizzata nel dopoguerra e subito ampliata in funzione dell’imminente avvio dei servizi tv, oltre che radiofonici, per cui era stato concepito.
La facciata razionalista dell’edificio era ispirata alle idee del gruppo di architetti che formarono nel 1930 il MIAR, il Movimento Italiano per l’Architettura Razionale. Inconfondibile l’atrio di ingresso, con le colonne degli ascensori visibili dietro alla grande vetrata, simbolo della Milano modernista proiettata nel futuro.
L’8 settembre 1952, proprio dallo studio TV2 di Milano, andò in onda la prima trasmissione in assoluto della tv nazionale: Prego signora, condotto da Elda Lanza. Due giorni dopo fu la volta del primo telegiornale, diretto da Vittorio Veltroni, il papà di Walter. E sempre da Milano si registrarono i grandi sceneggiati tv, diventati ormai memoria collettiva, come La freccia nera o Piccolo mondo antico. In quegli anni, in Corso Sempione, lavoravano più di 400 persone che producevano circa l’85% di tutti i programmi nazionali.
Poi, negli anni Ottanta, la concorrenza delle tv berlusconiane e la “romanizzazione” di Mamma Rai indebolirono un centro di produzione sempre meno centrale negli assetti della partitocrazia al potere. Uniche eccezioni: trasmissioni di culto come La Domenica Sportiva o Quelli che il calcio.
Ci provò Umberto Bossi, all’inizio dei Duemila, a cavalcare una sorta di federalismo televisivo, portando a Milano la direzione di Rai Due e la produzione (poi abortita) di un telegiornale nazionale. Ma l’idea di Rai Nord prese piede solo nella narrazione politica padana. Negli ultimi 15 anni, lo stesso tentativo di rilanciare il centro di produzione meneghino, si è sempre scontrato con uno scenario in cui i format tv vengono tutti o quasi ideati e confezionati da case di produzione esterne: Endemol, Magnolia e l’ex Officina di Fabio Fazio su tutte. Con buona pace di Giò Ponti, e l’epopea perduta di Corso Sempione.
Marco Alfieri
Caporedattore
P.I. 00777910159 Dati societari
© Copyright Il Sole 24 Ore Tutti i diritti riservati
Per la tua pubblicità sul sito: 24 Ore System
Informativa sui cookie Privacy policy