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La blockchain volano di digitalizzazione per il made in Italy (ma fatica ancora)

di Pierangelo Soldavini

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Gli investimenti sono limitati, ma le potenzialità enormi: tecnologia complessa da comprendere e lenta nei risultati. Ma le competenze ci sono

15 settembre 2021
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3' di lettura

Quel che è certo è che non crea clienti e non genera fatturato, almeno nell'immediato. Ed è forse anche per questo che la blockchain fatica ancora oggi a fare breccia nelle imprese, soprattutto quelle medie e piccole per le quali potrebbe rappresentare un tassello cruciale sulla strada della digitalizzazione, soprattutto se integrata con altre tecnologie come il cloud e l'intelligenza artificiale.

«Ha un impatto dirompente nell'abbattimento dei costi delle transazioni e nella protezione delle filiere industriali, non solo per i servizi finanziari, grazie a un registro condiviso tra tutti gli attori sicuro e immodificabile e alla programmabilità mediante gli smart contract che danno vita a un sistema di intelligenza distribuita che crea valore solo in maniera indiretta». Così sintetizza Massimo Chiriatti, Cto Blockchain Digital currencies di Ibm Italia e uno dei massimi esperti italiani della tecnologia, che ha coordinato il gruppo di lavoro di Anitec-Assinform sul tema. Il risultato è stato un white paper che mira a sensibilizzare le aziende sul contributo che la blockchain può fornire allo sviluppo dell'economia italiana.

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A oggi, come ha ribadito Valeria Portale dell'Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, siamo ancora fermi a investimenti limitati a 26 milioni di euro nel 2020, sia pur con una crescita a doppia cifra (+18%), che dovrebbe proseguire attorno al 20% anche nei prossimi anni. Ma si registra un notevole fermento: «La tecnologia è frenata dalla complessità e dai tempi lunghi richiesti, ma la potenzialità è elevata, tanto più che per un a volta l'Italia non è l'ultima ruota del carro ma, al contrario, ha competenze da valorizzare, come dimostra il progetto Spunta in ambito bancario».

Il progetto Spunta interbancaria per la riconciliazione dei conti reciproci è nato nell'ambito dell'Abilab su iniziativa delle banche italiane e ora è stato esportato in Europa con l'adesione di un centinaio di istituti: «Ora si sta lavorando per applicare la stessa logica ad altri use case, anche destinati all'utente finale – sottolinea Demetrio Migliorati, head of innovation di Banca Mediolanum -: quello che speriamo è che quel progetto possa funzionare da modello anche per altri settori, mettendo insieme le aziende concorrenti a lavorare in una logica di ecosistema su un'infrastruttura che possa portare benefici per tutti in un ambito pre-competitivo».

Gli use case della blockchain illustrati nel documento sono ben dodici, la maggior parte dei quali in settori cruciali per l'economia italiana, come l'agroalimentare, la moda, l'automotive, il turismo e la cultura, i servizi satellitari e l'energia.

L'estrema varietà di applicazioni della Blockchain ne dimostra la grande adattabilità sia a industry diverse, sia a funzioni diverse nella catena del valore: se, da un lato, sono ormai classiche applicazioni della Blockchain per garantire la tracciabilità dei prodotti nell'industria agrifood, o in chiave anticontraffazione per la moda, notevoli prospettive si aprono in relazione alla garanzia di qualità dei ricambi nell'automotive o per quanto riguarda le comunicazioni tra satelliti in ambito di servizi satellitari.

A prescindere dalle esigenze di regolamentazione di una tecnologia complessa e con aspetti diversificati, che non sempre vanno nella giusta direzione, «la difficoltà rimane quella di affrontare l'implementazione della blockchain con la strategia adeguata: manca da parte delle aziende la capacità di comprensione della tecnologia e, di conseguenza, della sua gestione in termini proficui», spiega Andrea Conso dello studio legale Annunziata&Conso.

D'altra parte «la sopravvalutazione delle conseguenze della tecnologia sul lungo periodo finisce per avere l'effetto perverso di produrre paura e una conseguente diffidenza nell'approccio», nota Remo Morone, notaio che ha colto il rischio che la blockchain comporta per una professione basata sull'intermediazione e sulla certificazione come la sua. E che non ha avuto paura di affrontarla per capire come poterla “cavalcare”.

Diventa cruciale fare squadra come sistema Paese per valorizzare le competenze, migliorare la consapevolezza e poter sperimentare, in modo da poter perdere il treno di questa tecnologia. Anche a livello regolamentare: «Vorrei evitare, una volta convinta l'azienda a scommettere sulla blockchain, di trovarmi costretta a dover realizzare un token a Malta o in Svizzera perché in Italia non è ancora regolamentato», conclude Nadia Fabrizio, blockchain expert di Cefriel.

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