di Eugenio Bruno
Messa: “I fondi ci sono. Serve continuità tra ricerca di base e applicata”
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Su un punto le analisi nazionali e internazionali sulla ricerca in Italia concordano: pur avendo un alto livello di qualità e produttività delle pubblicazioni scientifiche manteniamo un basso livello di trasferimento tecnologico. Con il risultato che tante scoperte finiscono per restare al chiuso di un ateneo o di un ente senza invece trovare uno sbocco esterno. Per invertire la rotta il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) mette in campo diverse linee di investimento.
A cominciare dagli 1,6 miliardi che il ministero dell’Università (Mur) ha appena ripartito tra 5 Centri di innovazione. Cinque campioni nazionali della ricerca in altrettanti ambiti (Simulazioni, calcolo e analisi dei dati ad alte prestazioni; Agritech; Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna; Mobilità sostenibile; Biodiversità) che vedono la partecipazione di 55 atenei o scuole superiori, 65 imprese e 25 enti pubblici. Con alcuni nomi, sia pubblici che privati, che tornano in più di un’aggregazione e che così facendo creano, di fatto, una rete nella rete. Pensiamo all’università di Firenze che è presente nell’intera cinquina finanziata dal Mur.
A presentare i risultati del bando attuativo del Pnrr - che si è chiuso il 15 febbraio scorso e che ha visto arrivare 5 domande per 2 miliardi di finanziamento complessivo - è stata la stessa ministra Cristina Messa durante il Cdm di mercoledì 15 giugno. Come abbiamo visto, i centri nazionali nascono per aggregare università, enti e organismi pubblici e privati di ricerca, imprese presenti e distribuite sull’intero territorio nazionale e sono organizzati con una struttura di governance di tipo “Hub & Spoke”, con l’Hub che svolgerà attività di gestione e coordinamento e gli Spoke quelle di ricerca.
Così facendo - ha sottolineato l’ex rettrice di Milano Bicocca - «per la prima volta, in modo così sinergico e a carattere nazionale, i sistemi pubblico e privato sono insieme per creare eccellenze e generare una crescita collettiva che accorci le distanze e colmi i divari, attraverso lo sviluppo di progetti dedicati a temi tecnologici innovativi». L’obiettivo dichiarato è dare «spazio alla creatività e alle competenze di giovani ricercatori, con particolare attenzione alla parità di genere e alla valorizzazione delle risorse del Mezzogiorno, per oltre il 40%». Con la speranza aggiuntiva - ha concluso Messa - «di competere uniti e con una nuova determinazione, a livello internazionale».
Nel complesso sono 144 i soggetti coinvolti tra università, enti di ricerca e imprese in tutta Italia. Basta leggere la distribuzione dei fondi (che arriveranno con i decreti di concessione attesi nei prossimi giorni, ndr) per rendersene conto. Si va dal National Centre for Hpc, Big Data and Quantum Computing, con sede a Casalecchio di Reno (Bologna), che nasce su iniziativa dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) e mette insieme 49 partecipanti per la simulazione e l’analisi dei dati di grandi di dimensioni al National Research Centre for Agricultural Technologies(Agritech), promosso dall’Università Federico II di Napoli e capace di aggregarne 46; dal Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile (Cnms) voluto dal Politecnico di Milano e in grado di intercettare la disponibilità di 49 soggetti diversi al National Biodiversity Future Center (Nbfc) che vedrà la luce a Roma su input del Cnr e con la partecipazione di 48 realtà sparpagliate lungo lo Stivale.
Fino al National Center for Gene Therapy and Drugs based on Rna Technology di stanza a Padova per volontà dell’ateneo locale che può contare sulla collaborazione di 49 tra istituzioni e aziende.
Ogni centro nazionale riceverà in dote tra i 319,9 e i 320 milioni di euro (con una quota riservata al Sud che va dal 40 al 45%). Con i quali assumere ricercatori e personale da dedicare alla ricerca (di cui almeno il 40% donne), per creare e rinnovare le infrastrutture e i laboratori, per realizzare e sviluppare programmi di innovazione sui cinque temi prescelti, per favorire la nascita e la crescita di start-up e spin off. Così da valorizzarne i risultati e innescare il circolo virtuoso tra scoperta e applicazione pratica di cui abbiamo tanto bisogno.
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Eugenio Bruno
vice caposervizio
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