di Micaela Cappellini
Nel Pavese c’è anche una nutrita comunità indiana, che si occupa della zootecnia lavorando anche nelle stalle
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Nelle campagne bresciane si occupano soprattutto di ortaggi, nel pavese seguono la vendemmia, nel cremonese gestiscono le stalle e nel mantovano raccolgono la frutta, in particolare i meloni. Sono i lavoratori stagionali extracomunitari che, ogni anno, vengono chiamati dalle aziende agricole lombarde attraverso le procedure fissate dal decreto Flussi. Quanti sono? All’incirca, parliamo di un migliaio di persone, ma il calcolo non è semplice.
Per il 2022, ad esempio, il decreto Flussi fissava per tutta Italia in 42mila le posizioni riservate agli stagionali in agricoltura, di cui 14mila - cioè un terzo - da gestire direttamente attraverso le associazioni degli imprenditori agricoli, con corsia preferenziale rispetto alle altre. Ora, poiché la circolare del ministero del Lavoro, che fissa per ogni provincia le quote di lavoratori gestite appunto dalle organizzazioni datoriali, stabiliva in 380 la fetta della Lombardia, il calcolo del migliaio è presto fatto. Per il 2023, il numero di braccianti extracomunitari in arrivo grazie al decreto sarà più alto ma di poco, visto che le posizioni aperte a livello nazionale per i braccianti quest’anno sono in tutto 44mila, cioè solo 2mila in più.
La Lombardia è la prima regione agricola d’Italia: per esempio, produce il 37% del latte nazionale, il 42% del riso e il 40% dei prodotti suinicoli. È prima anche per superficie dedicata all’agricoltura con il 69% del territorio occupato da attività agricole, per un totale di 50mila aziende attive. Come fanno allora a bastare solo mille lavoratori extracomunitari? La verità è che gli ingressi assicurati dal decreto Flussi non sono che una piccola parte di tutti i braccianti stranieri che lavorano nelle campagne lombarde. Diciamo un decimo. «Da noi, nel Pavese, la grande differenza c’è stata quando la Romania è entrata nell’Unione europea e i suoi cittadini hanno potuto circolare liberamente», racconta Giuseppina Cannavò, responsabile dell’ufficio paghe della Coldiretti Pavia, un ottimo osservatorio sul campo, visto che da qui passano le domande per gli ingressi e le pratiche per la stabilizzazione. «Oggi - prosegue - non c’è azienda agricola dove non lavori almeno un bracciante rumeno. Prima nei campi arrivavano molti marocchini, ma ora preferiscono lavorare nell’edilizia. Nel Pavese c’è anche una nutrita comunità indiana, che si occupa della zootecnia, mentre a raccogliere la verdura vengono chiamati parecchi ragazzi nigeriani. Nelle risaie, invece, lavorano i cinesi».
Nigeriani, marocchini, indiani. Come entrano nel circuito del lavoro agricolo, se non è con il decreto Flussi? «Chi sbarca in Italia e ha diritto all’asilo politico, dopo 90 giorni dall’arrivo ha anche automaticamente il permesso per lavorare - spiega Giuseppina Cannavò - poi ci sono gli altri lavoratori che hanno già il permesso, e quelli che sono stati regolarizzati dalla sanatoria del 2020. Soltanto a Pavia ne abbiamo sanati 1.500». Dall’anno scorso ci sono i rifugiati ucraini in Italia, che hanno ottenuto il permesso di soggiorno e di lavoro in via agevolata. E poi, inevitabilmente, c’è la quota in nero. Secondo i dati del settore vigilanza Inps, a livello nazionale la percentuale dei lavoratori irregolari in agricoltura è pari al 38% (contro il 33% in edilizia, il 27% nell’industria e il 21% nel terziario), con 88 lavoratori in nero ogni 100 aziende.
L’anno scorso, attraverso la quota di ingressi gestita direttamente dalle associazioni degli agricoltori, sono state lavorate 102 domande per le province di Como, Lecco e Sondrio, 43 per la provincia di Brescia, 38 per Pavia, 27 per Cremona, 10 per Bergamo, un centinaio per Mantova e 3 per Milano. Quest’anno, per le aziende agricole che vogliono fare domanda il click day è fissato per il 23 marzo. La trafila burocratica è lunga: «Le aziende - spiega Giuseppina Cannavò - devono dimostrare di avere sufficiente fatturato per pagare gli stipendi dei braccianti, e servono anche i documenti della casa dove il lavoratore andrà ad abitare per il tempo del contratto. Occorre il numero di passaporto della persona chiamata e bisogna accordarsi sul luogo dove fargli spedire il nullaosta per entrare in Italia, una volta che la pratica è andata a buon fine. Per l’Albania, ad esempio, spediamo le pratiche all’ambasciata italiana a Tirana, in altri Paesi i documenti transitano attraverso il governo centrale oppure le prefetture».
Peccato che a marzo, in molte campagne, il lavoro per le colture primaverili è già cominciato. Anche quest’anno, insomma, il decreto Flussi è arrivato lungo rispetto all’orologio dei campi. «Nel 2022 - racconta Giuseppina Cannavò - con le domande fatte a marzo, i lavoratori sono arrivati ad ottobre. Così le imprese hanno dovuto usare la manodopera che era già in Italia. Nella Bergamasca ha funzionato il passaparola tra parenti e amici. Nelle vigne del Pavese, per colpa delle grandinate molte aziende non hanno raccolto affatto. Altre si sono rivolte alla manodopera polacca, che è comunitaria, poi c’erano gli ucraini scappati dalla guerra. Ora la Coldiretti ha sottoscritto l’accordo con il ministero degli Interni grazie al quale tutte le domande per il decreto Flussi fatte attraverso l’associazione hanno la priorità: mi aspetto che quest’anno, con le domande che si aprono a marzo, i lavoratori arriveranno quasi subito».
Micaela Cappellini
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