di Andrea Biondi
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Più di otto italiani su dieci (l’83,4%) si sono imbattuti almeno in una fake news sulla pandemia, E almeno due su tre (il 66,1%) in una notizia falsa sulla guerra russo-ucraina. Il Covid-19 prima, la guerra poi: emergenze in cui la comunicazione gioca un ruolo fondamentale nella rappresentazione della realtà, ma essendo messa a dura prova in un ecosistema dell'informazione sempre più orizzontale e diversificato, dove il mondo dei social ha sempre più spazio e dove i meccanismi di verifica (a monte) e formazione delle coscienze (a valle) sono ora sottoposti a una fase cruciale di rivisitazione.
È questo il punto di partenza del “Secondo Rapporto annuale sulla buona comunicazione dell'emergenza quotidiana”, nato all'interno dell'Osservatorio permanente Ital Communications e Censis sulla comunicazione e sulle agenzie di comunicazione. E la conclusione è chiara sin dall’inizio del lavoro: la buona comunicazione non si improvvisa e c'è bisogno di professionisti fra i giornalisti che fanno da mediatori con la platea di lettori-ascoltatori-internauti, ma anche di professionisti in grado, dall’altra parte, di guidare le aziende e le istituzioni nella predisposizione di piani di comunicazione interna ed esterna e di gestione dell'emergenza.
L'emergenza quotidiana ha generato una domanda di informazione inedita da cui nessuno è escluso. Il 97,3% degli italiani nell'ultimo anno ha cercato notizie sulla pandemia su tutte le fonti disponibili, off e online, per una media di 2,7 fonti consultate per ciascuno. . In particolare, 41 milioni di italiani si sono informati sui media tradizionali. Nel biennio 2019-2021 gli utenti del web sono aumentati di 4,2 punti percentuali e sono l'83,5% della popolazione. Milioni di persone hanno poi utilizzato social media e messaggistica istantanea, diventando essi stessi protagonisti e moltiplicatori di quello che leggevano e ascoltavano. Sono oltre 7 milioni gli italiani che hanno costruito un palinsesto informativo fatto solo di media online, siti web e social media.
Per 32 milioni di italiani, il 64,1% degli individui maggiorenni, il palinsesto informativo è fatto di media tradizionali, media online e social media. Ci sono però 9,3 milioni (il 18,7% del totale con quota che sale al 41,7% tra chi ha più di 65 anni), che hanno seguito solo i media tradizionali, mentre 7,2 milioni (il 14,5% del totale che diventa il 25% tra chi ha meno di 34 anni), hanno attinto alle notizie sulla pandemia esclusivamente dal web, attraverso media online, siti web e social media. Questi ultimi, sottolinea il Rapporto, sono i più esposti a disinformazione e fake news.
La tanta informazione si è accompagnata a false notizie e disinformazione: il 57,7% degli italiani lamenta di avere un'idea molto o abbastanza confusa di quello che sta succedendo nella guerra tra Russia e Ucraina. Il 64,2% degli italiani ritiene, poi, che durante l’emergenza sia stata privilegiata la spettacolarizzazione e la voglia di fare audience piuttosto che un’informazione tesa alla comprensione dei problemi. Di fronte alla confusione informativa il 45,5% degli italiani si rivolge a fonti informali di cui si fida di più, ma è in questi ambienti che si producono e diffondono notizie false attraverso post, like e condivisioni. Tra le persone di cui gli italiani si fidano, anche come fonti informative, ci sono gli influencer: il 38,1% segue le loro opinioni e analisi sulla guerra.
Non va poi trascurato il bisogno di semplificazione della realtà e di rassicurazione. Il 45,5% degli italiani, con valori che salgono al 51,6% tra chi ha al massimo la licenza media, di fronte alla confusione informativa cui è esposto, preferisce affidarsi a fonti informali di cui si fida, quindi ad amici, parenti, conoscenti incontrati di persona o sui social senza doversi chiedere se le notizie che trova, condivide, commenta siano vere o no e, soprattutto, senza mai doversi confrontare con chi ha idee diverse dalle proprie
Il 51% degli italiani e il 53% degli europei esprimono la propria preoccupazione per i rischi che il digitale può avere sulla sicurezza e il benessere dei minori. Oggi è praticamente impossibile tenere lontani i minori dal web, che è parte della loro quotidianità, per cui bisogna concentrare gli sforzi per informarli e tutelarli dai possibili rischi cui possono andare incontro. Il 19,2% della popolazione adulta (che sale al 21,5% per chi vive in famiglie con figli) ritiene che i genitori debbano vietare ai minori di 14 anni l'accesso ad internet. Più morbida la posizione del 31,7% (28,7% nelle famiglie con figli), che pensa che quando i minori di 14 anni navigano in rete debba esserci sempre la presenza di un adulto. Sul fronte opposto, il 5,2% degli italiani è convinto che in una vita che si è sempre più spostata sull'online.
Per frenare disinformazione e fake news occorre attuare regole più severe per piattaforme e social media, programmi di educazione al digitale e promozione di una comunicazione di qualità gestita da professionisti. Le emergenze insegnano che la capacità di comunicare è essenziale per gestire le crisi e ottenere un rapporto di collaborazione e di fiducia fra cittadini e istituzioni. C'è bisogno di professionisti che guidino le aziende e le istituzioni nella comunicazione. Il loro ruolo è fondamentale per combattere fake news e disinformazione. Nel 2021 in Italia sono attive 4.445 agenzie di comunicazione e pubbliche relazioni, al cui interno lavorano 8.290 professionisti, per una media di circa due addetti per ciascuna agenzia
Per Massimiliano Valerii, Direttore Generale del Censis, «con il Covid prima, con la guerra poi web e social sono entrati a pieno titolo all'interno dell'ecosistema dell'informazione, e ci resteranno anche nel futuro. I professionisti dell'informazione devono prenderne atto e cercare i modi per influenzare positivamente il web che è e deve rimanere uno strumento di libertà e di democratizzazione».
Per Domenico Colotta, Founder di Ital Communications, «Il Rapporto Censis-Ital Communications, anche nell’edizione di quest’anno, rileva che in campo informativo siamo in presenza di un’infomedia comunicativa che genera confusione e ansia, avendo la meglio sulla corretta informazione. In questi mesi, infatti, riguardo il conflitto russo-ucraino, possiamo parlare di comunicazione di guerra e non di informazione sulla guerra». «In tale contesto – ha spiegato Attilio Lombardi, Founder di Ital Communications - le agenzie di comunicazione possono certificare, utilizzando fonti affidabili e verificate, la correttezza delle notizie che producono e distribuiscono. Tutto ciò è una garanzia per il funzionamento delle moderne democrazie, oltre che per la tutela della dignità delle persone».
Andrea Biondi
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