Finale Mondiali 1970, Italia-Brasile, Tarcisio Burgnich in rovesciata ruba la palla al grande Pelè (Photo by dpa/picture alliance via Getty Images)
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È morto a 82 anni Tarcisio Burgnich. L'ex difensore, tra le altre, di Inter e Napoli è scomparso nella notte dopo una lunga malattia. Era stato campione d'Europa con l'Italia nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970. Burgnich è morto la notte scorsa nella casa di cura S.Camillo a Forte dei Marmi (Lucca), dove era stato trasferito dopo una degenza all'ospedale Versilia. La salma sarà esposta nella casa funeraria Ferrante a Viareggio, cittadina dove l'ex calciatore e allenatore viveva.
Lo chiamavano la “roccia”. Era stato Armando Picchi ad attribuirgli quel nomignolo, che per Burgnich era diventato quasi un secondo nome. È stato infatti uno dei migliori difensori della storia del calcio italiano, durissimo contro i suoi rivali, ma mai davvero cattivo. Umile nello sport e nella vita, tuttavia scaltro quando serviva, Burgnich ha fatto suoi gli insegnamenti del primo allenatore a Udine, Comuzzi: con un occhio e mezzo guarda l'uomo, con l'altro mezzo occhio il pallone. In campo era un carabiniere, non gli sfuggiva nulla.
Esordì nell'Udinese, ventenne, c'era anche Dino Zoff, un segno del destino. Giocò stopper e terzino, una vita in difesa, metteva pezze nei varchi lasciati dai compagni, soprattutto metteva sempre la gamba. Ai mondiali del 1970 tentò di fermare Pelè quando O’ Rey saltò in cielo per colpire di testa e insaccare nella porta azzurra, «ma non potevo riuscirci - dirà poi lui - perchè in realtà stavo appena arrivando a marcarlo e non ero ancora in posizione».
Con la maglia azzurra fu campione d'Europa nel 1968 e vicecampione del mondo nel 1970. In carriera, l'attaccante che lo mise più in difficoltà non fu l'imperatore brasiliano, bensì per sua stessa ammissione Ezio Pascutti del Bologna, e poi lo jugoslavo Dragan Dzajic, che gli sfuggivano come anguille.
Stare con Herrera era come essere su un'astronave. Era sempre un passo avanti
Burgnich giocò con tante squadre, l'esordio con la sua Udinese nel 1958, un anno da meteora nella Juventus, poi un altro anno al Palermo, quindi dodici stagioni con l'Inter dal 1962 al 1974, l'incontro con Helenio Herrera, personaggio che lui adorava e che gli spalancò le porte del mondo: «Stare con lui era come essere su un'astronave. Era sempre un passo avanti. Uomo sobrio, serio, era stato povero, ci esortava a non buttare via i soldi che guadagnavamo, ci insegnò a fare yoga per concentrarci». Con i nerazzurri infilò 467 presenze in gare ufficiali, vincendo 4 scudetti, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali. Ci restò male quando a un certo punto lo considerarono vecchio, finì al Napoli e sfiorò lo scudetto nel 1975.
Poi la carriera da allenatore, è stato sulla panchina di molte squadre, l'ultima volta nel 2001 con il Pescara. Burgnich è uno dei monumenti del calcio italiano. Una carriera costruita con una vita da difensore roccioso, corretto e leale, ma anche con una grande serietà nella vita. Rimase sempre legato al suo mondo, anzi si può dire che di quel calcio d'altri tempi Burgnich sia stato uno degli interpreti più puri, come il suo compagno Giacinto Facchetti, come il suo amico Gigi Riva.
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