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Scenari bellici e inflazione: la nuova primavera dell’oro

di Marcello Minenna

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(BillionPhotos.com - stock.adobe.com)

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L’instabilità geopolitica, l’inflazione elevata, il fallimento degli esperimenti di “oro digitale” stanno definendo il nuovo corso dell'oro

11 aprile 2022
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6' di lettura

I primi mesi del 2022 verranno ricordati per un ritorno in grande stile di enormi flussi di capitali verso l'oro. In meno di 60 giorni il prezzo per oncia è cresciuto di quasi il 10%, raggiungendo i massimi storici toccati durante la corsa speculativa della primavera 2020 (2.070 dollari). Tutto il 2021 era stato caratterizzato da un plateau molto elevato intorno ai 1.800 dollari.

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La causa scatenante

La deflagrazione del conflitto russo-ucraino è da ritenersi la causa scatenante del recente rally, anche se la domanda di oro mostrava ottimi fondamentali già alla fine del 2021 per via della persistente inflazione nei settori energetico e delle commodities primarie ed industriali.

Ancora una volta il mercato ha mostrato di ritenere l'oro il più affidabile dei safe haven nei momenti di maggiore incertezza. Al contrario, la débâcle di Bitcoin e delle altre cripto-valute candidate ad essere il nuovo “oro digitale” ha evidenziato tutti gli enormi limiti e l'immaturità di questi strumenti ai fini di riserva di valore e diversificazione del rischio di mercato.

La domanda di oro nel periodo 2020-2021

Per comprendere cosa è successo occorre analizzare l'evoluzione della domanda di oro negli ultimi trimestri, osservando l'andamento dei fattori determinanti (vedi figura 2). Lato offerta, la produzione di oro rimane stazionaria dal 2016, assestandosi nel 2020 intorno alle 3.500 tonnellate, mentre l'utilizzo di oro riciclato oscilla intorno alle 1.200 tonnellate annue. L'offerta globale è dunque stabile e condizionata dalla capacità produttiva delle miniere, che non è in grado rispondere per motivi tecnologici e geologici ai movimenti del prezzo sui mercati globali.

Dopo un primo momento (marzo-settembre 2020) di riduzione modesta, il trend della domanda di oro è tornato crescente. Al crollo della richiesta di gioielleria tra marzo e settembre 2020 (barre gialle, -58%) causato dagli effetti diretti dei lockdowns generalizzati sulle grandi economie importatrici (India, Cina, Turchia), è seguito un boom consistente trainato dai consumi di India (+91% annuo) e Paesi del Medio Oriente.

Nel 2021 anche la richiesta di lingotti a uso investimento è risultata in buona crescita (barre verdi), mentre i flussi di capitale speculativo sono rimasti grosso modo costanti, in calma apparente fino alle prime settimane del 2022 (barre viola). Il biennio pandemico conferma inoltre il ridimensionamento progressivo degli acquisti di oro da parte delle banche centrali dei Paesi emergenti (barre celesti), effettuati nella prospettiva di una strategia di lungo periodo di de-dollarizzazione.

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Il ruolo dell’inflazione nel sostegno alla domanda di oro

Durante il 2021, l'inflazione è rimasta elevata a livello globale a causa di shock multipli all'offerta sui mercati dell'energia ed ha preso in contropiede le autorità monetarie, che si aspettavano una moderazione del fenomeno dopo un rapido aumento dovuto alla riapertura delle economie. Per via dell'alta inflazione e dei tassi di interesse a zero, i tassi reali nelle principali economie industrializzate sono diventati profondamente negativi, a livelli vicini a quelli sperimentati negli anni ‘70.

In questo contesto, è difficile proteggersi dall'erosione del potere di acquisto provocata dall'inflazione, senza investimenti finanziari a basso rischio capaci di offrire rendimenti positivi e senza meccanismi di indicizzazione di stipendi/salari. I tassi d'interesse reali negativi avvantaggiano chi detiene commodities reali e debiti a tasso fisso: i governi in primis che vedono il debito pubblico “sgonfiarsi”, i detentori di mutui ed ovviamente gli investitori in oro.

I rendimenti dei titoli del Tesoro Usa

Se si osservano i rendimenti degli US Treasuries (UST) al netto dell'inflazione, i motivi della corsa verso l'oro nel 2021 diventano più chiari (vedi Figura 3). Dai dati è possibile apprezzare una riduzione dei rendimenti reali degli UST di 190 punti base per i titoli a medio-lungo termine e di 100 per quelli a lunghissimo, fino ai minimi raggiunti ad inizio dicembre 2021.

I rendimenti diventano negativi a partire da aprile 2020, quando gli investitori hanno iniziato a vedere il proprio capitale eroso dall'inflazione (nonostante questa fosse in forte contrazione). Nel 2021 i rendimenti sono scesi ulteriormente sotto la soglia del -1% per i titoli con durata inferiore a 10 anni, anche per via di una ripresa dell'inflazione a cui non è corrisposto un aumento contestuale dei tassi di interesse. È evidente che, a parità di fattori, la crescita di questo costo-opportunità nella detenzione di titoli governativi ha favorito lo spostamento di nuovi flussi di liquidità verso l'oro, che è naturalmente protetto dal rischio di inflazione.

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Il quadro è mutato velocemente nelle prime settimane del 2022, per via della stance di politica monetaria più aggressiva delle banche centrali (Federal Reserve in primis), che hanno annunciato rialzi multipli dei tassi di interesse-chiave nel corso dell'anno. Dopo un breve hiatus dovuto al caos dei mercati all'avvio del conflitto bellico, le aspettative degli operatori sembrano confermare un rialzo dei tassi di interesse che - effetto guerra a parte - dovrebbe raffreddare progressivamente la domanda di oro per fini di investimento.

Crisi bellica e bene rifugio: l'onda di liquidità di marzo 2022

Il quadro di sostanziale stabilità degli investimenti in Exchange traded funds (Etf) specializzati nelle negoziazioni in oro registrato nel 2021 ha subìto uno scossone enorme nelle ultime settimane. Si tratta di una componente della domanda volatile, soggetta ad ampie fluttuazioni e fortemente reattiva a variazioni del prezzo, com'è ovvio data la sua natura puramente finanziaria. Dall'avvio del conflitto in Ucraina si è registrato un rapido afflusso di liquidità (+11 miliardi di dollari) verso questi veicoli di investimento che de facto ha già superato in intensità i record raggiunti durante la crisi pandemica di marzo 2020 (vedi Figura 4) con un incremento mensile dell'ordine del 500-600%.

Il picco della corsa all'oro finanziario si è registrato nella prima settimana di marzo 2022, in concomitanza con le minacce di default del governo russo e l'instabilità crescente sui mercati valutari ed azionari internazionali. I dati relativi all'ultima settimana di marzo 2022 mostrano cenni di stabilizzazione dei flussi in ingresso, su livelli comunque elevatissimi.

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Se osserviamo la decomposizione per area geografica del massiccio spostamento di flussi verso gli Etf, è immediato notare come questo sia esclusiva dei mercati occidentali (Nord-America, barre arancioni ed Europa, barre rosse). Nessun impatto della crisi bellica è rilevabile sui mercati asiatici e del resto del mondo.

Scendendo nel dettaglio, i fondi Usa hanno registrato afflussi molto elevati soprattutto ad inizio marzo, mentre i movimenti verso i fondi europei hanno preso abbrivio nelle ultime settimane del mese, plausibilmente per il focus progressivo dei mercati sulle forniture di gas russo in Europa.

L’oro delle banche centrali e strategie di de-dollarizzazione

Gli acquisti di oro da parte delle banche centrali hanno mostrato una chiara de-correlazione dall'andamento a breve termine del prezzo durante la pandemia, seguendo strategie di gestione di lungo periodo delle riserve valutarie. Nel decennio 2010-2020 le operazioni di acquisto/vendita di oro sono state dominate dalle banche centrali delle principali economie emergenti (vedi Figura 5), che hanno cercato di accrescere le proprie riserve auree e di ridurre i propri asset denominati in dollari, in un chiaro tentativo di ridurre l'influenza delle istituzioni Usa nella gestione della politica economica domestica.

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Il caso della Russia è esemplare: in concomitanza con le operazioni di acquisto di oro (barre gialle) la banca centrale ha contestualmente azzerato gli investimenti in UST ed ha diversificato le proprie riserve accrescendo la quota di attività denominate in euro e yen.

Gli acquisti di oro da parte della Russia

I dati mostrano come l'onda lunga degli acquisti si sia gradualmente attenuata negli ultimi anni: nel 2020 la Russia ha terminato il proprio programma di acquisto di oro dai produttori nazionali al fine di favorire l'export da parte del settore privato, dopo avere accumulato circa il 9% delle riserve globali. Dal 2019 non si osservano operazioni da parte della Cina mentre la banca centrale turca è stata costretta a cedere parte delle proprie riserve, sia nel 2019 che nel 2021, per poter fronteggiare una crisi valutaria persistente.

Solo l'India ha accresciuti i propri stock di oro nel 2021 con acquisti significativi. Difficile valutare l'utilità prospettica di questi programmi dopo l'esperienza del conflitto russo-ucraino. Le sanzioni imposte alla Russia da parte dei governi occidentali non solo hanno congelato le riserve in dollari, euro, sterline e yen, ma hanno anche colpito la componente aurea delle riserve ufficiali della banca centrale russa.

Il niet da parte di Usa e Giappone

Verso fine marzo Stati Uniti e Giappone hanno inibito agli operatori soggetti alle loro giurisdizioni di effettuare transazioni in oro con controparti russe. Sebbene non si tratti di un congelamento in piena regola come quello che ha interessato le riserve valutarie, è chiaro che queste misure compromettono l'efficacia delle strategie di de-dollarizzazione perseguite puntando sul rafforzamento della componente aurea e forzano il ricorso a soluzioni alternative più radicali per sfuggire alla dominanza globale del dollaro.

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In prospettiva, il tentativo russo di accrescere il proprio stock di oro si è scontrato con la realtà dei fatti: il 70% delle riserve globali di oro resta nei forzieri dei Paesi occidentali, che da tempo non effettuano più significative operazioni di dismissione (vedi Figura 6).
In definitiva, instabilità geopolitica, inflazione elevata, fallimento degli esperimenti di “oro digitale” stanno definendo la nuova primavera dell'oro.

Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
@MarcelloMinenna
Le opinioni espresse sono strettamente personali


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