di Angelo Flaccavento
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«Lisbona è un posto che fa sognare», dice Ian Griffiths, direttore creativo di Max Mara, poco prima della sfilata resort 2023. Il tour della moda continua e tocca adesso la capitale portoghese, soffusa di malinconia, avvolta nelle note struggenti e nostalgiche del fado. Il luogo scelto da Max Mara, primo marchio ad aver portato uno show in città, non è però una scena da cartolina, ma il giardino della Fondazione Calouste Gulbenkian: cemento brutalista, spazi ampi e bassi articolati con una eleganza compositiva che sa di Giappone, e il rigoglio assoluto e lussureggiante delle piante. Se si esclude il vento intenso, tipico del luogo, e il fado che echeggia nella colonna sonora, si potrebbe in effetti essere ovunque: del genius loci non c'è traccia. C'è però un legame con Max Mara: Gulbenkian era un collezionista eclettico così come la famiglia Maramotti, e il museo ne è testimonianza.
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Non c'è traccia evidente di Portogallo, a parte la presenza tra le modelle di Carminho, splendida e toccante interprete di fado, nonché donna dalla bellezza drammatica, nemmeno nella collezione, che invece è un concentrato di quel modo essenziale e concreto di far la moda che ha determinato il duraturo successo di Max Mara. Certo, Griffiths aggrappa il racconto alla figura dimenticata di Natalia Correia - poetessa scandalosa, donna coraggiosa, protofemminista - ma è, appunto, giusto una narrazione, che segue peraltro il filone al momento così à la page dell'empowerment femminino, ma che poco riverbera sui vestiti.
La collezione ha in ogni caso un tratto nuovo, quello sì empowered e tempestivo: emana una sensualità carnale ed evidente, nulla affatto di maniera. Nel vorticare dei cappotti - leggeri, perché la stagione in questione è resort - e delle cappe che sono il pane quotidiano di Max Mara, si affermano silhouette che seducono: gonne a matita dalle quali spunta una piccola balza plissé come una sottoveste infingarda, top che scoprono un filo di pancia, spacchi che svelano calze a rete. Ugualmente, la classica palette di bianco, nero, cammello si accende a sorpresa di note tropicali, affidate a una lunga teoria di abiti ampi e vaporosi, aloni di colore che toccano terra e nascondono completamente il corpo senza cancellarne l'energia e vitalità.
Siffatto erotismo, contenuto e sussurrato, intriga, perché inatteso in queste zone dello spettro modaiolo ma anche coerente con una lingua, quella di Max Mara, nella quale l'understatement è aspetto nodale e imprescindibile. Allora la scelta di Lisbona, città che esprime una cultura densa e misteriosa, che irretisce e avvicina perché nulla è urlato, nemmeno il pathos, neanche il sentimento più struggente, torna a perfezione, e il cerchio si chiude schivando il folk, la citazione e il teatro.
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