di Gianni Rusconi
Il 5G fa paura, allarme sicurezza per gli aereoporti Usa
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C'è chi l'ha definita, probabilmente esagerando, la “rete delle meraviglie”. Altri come la tecnologia chiave per lo sviluppo della società digitale. È indubbio che il 5G si porta dietro un carico di aspettative molto rilevante, perché sono parecchie le opportunità di trasformazione a livello di processi che la rete mobile di quinta generazione può mettere in campo, vuoi per le prestazioni decisamente superiori a quelle dello standard wireless immediatamente precedente, vuoi per la possibilità di connettere in banda larghissima molti più dispositivi contemporaneamente.
I vantaggi operativi del 5G non sono in discussione, soprattutto quando combinato con altre tecnologie come l'edge computing, l'Internet of Things o l'intelligenza artificiale per realizzare infrastrutture di comunicazione allo stato dell'arte in qualsiasi ambito. Si parla infatti di manutenzione predittiva delle macchine e degli impianti, di robot mobili utilizzati nell'ambito della produzione, di veicoli autonomi di varia natura, di applicazioni di realtà aumentata per chi fa assistenza tecnica sul campo. E poi ancora il settore sanitario con i servizi di assistenza medica da remoto, quello della logistica per la movimentazione intelligente di mezzi e merci, il comparto agricolo per il monitoraggio del suolo e dei raccolti o quello delle smart grid e delle smart city. Difficile trovare un contesto in cui la capacità di trasmissione dati della tecnologia di rete mobile superveloce non possa essere impiegata. Il problema, casomai, è garantire che la tecnologia stessa sia aperta (a tutti) e sia completamente interoperabile. L'imprinting dato da organismi come la 5G Alliance for Connected Industries and Automation e 5G Automotive Association va nella direzione (corretta) di fare riferimento a casi d'uso specifici dei vari settori verticali per definire le specifiche tecniche da assumere a standard, sganciandosi almeno in parte dalle linee guida dettate dai carrier telco.
Il salto in avanti promesso in termini di innovazione che ha accompagnato lo sviluppo e la prima fase della diffusione dei servizi mobili di nuova generazione non ha confermato del tutto le iniziali aspettative. E ci sono precise ragioni che spiegano perché questo è successo e sta ancora succedendo. “Quando parliamo di 5G – ha detto al Sole24ore Massimo Peselli, Senior Vice President Global Enterprise di Verizon Business – vanno considerate alcune aree di impatto e la prima sono i servizi di connettività mobile per il mondo consumer: al momento non c'è stata la vera disruption, forse la vedremo con la virtual reality o l'augmented reality e il metaverso. Una seconda importante use case della tecnologia è l'utilizzo della tecnologia wireless per alimentare le reti broadband, un fenomeno letteralmente decollato negli Usa, dove abbiamo incrementato di un fattore 30 le vendite di fixed wireless access negli ultimi 12-18 mesi”. Ricorrere a sistemi ibridi di collegamento via cavo e senza filo per offrire connettività a banda ultra larga è una pratica ormai consolidata, nonché di facile esecuzione, sicura e sempre più conveniente, come ricorda Peselli, anche al punto di vista economico grazie all'ampiezza superiore di spettro (fino al limite dei 2 Ghz) utilizzabile. Ma se la maggiore densità di antenne costituisce un vantaggio, è anche vero che serve posare tanta fibra vicino alle stesse antenne (e quindi investimenti importanti) per evitare i cosiddetti “colli di bottiglia” sulla distribuzione in rete della banda. Il beneficio di questo approccio è una maggiore copertura geografica delle linee broadband e la possibilità di massimizzare la pervasività del 5G in tutti i settori grazie alla grande flessibilità di accesso in modalità “as a service” alle capacità di questa tecnologia. Un nuovo paradigma per la connettività broadband di nuova generazione, insomma, costruito sulla tecnologia wireless e più veloce da implementare, con prestazioni che vanno da un minimo di 100 Gigabit al limite massimo dei 2 Gigabit effettivi.
Le reti private 5G, che Verizon Business ha lanciato (in collaborazione con Nokia) su scala internazionale nell'ottobre del 2020 in Europa e per il mercato Asia-Pacifico, sono un'ulteriore faccia di questo nuovo paradigma. Il concetto è quello di poter implementare una rete mobile personalizzata di livello enterprise direttamente all'interno di un hub logistico, di un impianto produttivo o di un'area portuale, garantendo livelli di latenza estremamente ridotti ed eliminando la necessità di trasmettere dati attraverso reti pubbliche. “Fino a qualche anno fa – osserva in proposito Peselli – le applicazioni di questa tecnologia erano proofpoint, oggi sono progetti reali che permettono di tracciare i movimenti dei container, il funzionamento delle macchine o il posizionamento delle persone”. Il porto di Southampton nel Regno Unito (da cui transitano merci, persone e 900mila veicoli l'anno) è un esempio di come una rete 5G privata e un sistema di distribuzione dei dati su un'unica rete wireless possano costituire il punto di partenza per realizzare un'infrastruttura di edge computing completamente dedicata per rendere più efficienti i processi. La gestione delle immagini e dei filmati, il monitoraggio dei robot dentro le fabbriche e i magazzini alimentato dalla sensoristica, il controllo di processo e del prodotto finale, la manutenzione predittiva con l'ausilio degli algoritmi di machine learning: le applicazioni possibili sono diverse e pur mancando, come osserva il manager di Verizon, una vera killer application, il private 5G è sinonimo di raccolta e analisi dei dati in tempo reale. E di sicurezza. Perché oggi l'operation technology dialoga con l'information technology in modo sempre più strutturato e solo una rete privata e protetta dal mondo esterno può essere garanzia di totale affidabilità dei dati.
Se oggi Verizon può esibire fra Stati Uniti (soprattutto), Regno Unito e Germania una dozzina di “use case” già attive per le proprie soluzioni private 5G e un centinaio in rampa di lancio è perché in questi Paesi esiste una regolamentazione che prevede la possibilità di affittare lo spettro di frequenze disponibile per implementare reti mobili e sistemi di edge computing “in house”. E in Italia? Se ne parla, e la domanda inizia a prendere forma. “Le nostre aziende – precisa in proposito Peselli - intuiscono questa opportunità ma la vedono ancora lontana, e non sono ancora pronte a spenderci tempo e soldi.. Con due aziende italiane stiamo però lavorando negli Stati Uniti per testare i vantaggi della tecnologia nei nostri centri di ricerca e sviluppare qualche soluzione da poter importare nelle rispettive infrastrutture It. Oggi siamo al punto delle aziende americane 18 mesi fa e per colmare il gap serve un quadro regolatorio adeguato per incentivare l'utilizzo di queste soluzioni”.
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