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Felicità al lavoro. Dal benessere alla produttività con il chief happiness officer

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Il post pandemia ha evidenziato la necessità di prendersi cura del benessere dei lavoratori. Cosa bisogna fare? Come gestire i lavoratori? A rispondere è il libro “Felicità al lavoro” di Vanessa Ruffini, edito dal Sole 24 Ore

18 marzo 2022
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2' di lettura

Il post pandemia ha evidenziato la necessità di prendersi cura del benessere dei lavoratori. La soluzione, come si è visto, non consiste semplicemente nell'implementare lo smart working ma nella necessità di riportare l'empatia nei luoghi di lavoro. Le persone devono essere accompagnate in un processo di crescita e creare legami lavorativi basati sulla fiducia reciproca, aumentando così il senso di appartenenza. Cosa bisogna fare? Come gestire i lavoratori? A rispondere è il libro “Felicità al lavoro” di Vanessa Ruffini, Chief Happiness Officer (responsabile del benessere dei lavoratori), edito dal Sole 24 Ore e in edicola per un mese da sabato 19 marzo al prezzo di 12,90€ e in libreria dal 24 marzo a 16,90€.

Il volume spazia dalle ultime scoperte nel campo delle neuroscienze fino a esempi di aziende virtuose, come Interpolis e Google, arricchiti dal racconto su come si lavora al loro interno. L'autrice, sulla base di questi casi concreti e della sua esperienza professionale, mostra come prendersi cura dei propri collaboratori generi una maggiore produttività e come lavorare in un'azienda che si prende cura delle persone rappresenti un valore aggiunto.

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All'interno del libro l'autrice analizza con taglio semplice e pratico, ricco di consigli e suggerimenti, i valori chiave che aiutano i lavoratori ad assumere una maggiore consapevolezza del proprio benessere sul luogo di lavoro – fiducia, empatia, comunicazione, intelligenza emotiva – per poi analizzare gli strumenti che permettono di applicare questi valori, fino ad arrivare agli obiettivi da raggiungere e gli errori inevitabili, che però possono essere sempre occasione di rinascita.

Uno strumento a cui si è ricorso in particolare durante la pandemia è lo smart working, il «lavoro agile». L'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma che lo smart working «implica lo sviluppo di una nuova cultura del lavoro che non riguarda lo svolgere attività in modo tradizionale con la sola aggiunta di nuove tecnologie e con il supporto di uffici riprogettati. Riguarda nuovi modi di lavorare usando nuovi strumenti, nuovi processi e nuovi approcci al management e al lavoro di squadra». Durante la pandemia in molti si sono trovati dal nulla a lavorare da casa, senza aver ricevuto un minimo di preparazione. L'attuazione dello smart working in questo modo rischia di non portare alcun beneficio, si legge nell'introduzione.

Il libro “Felicità al lavoro” esplora anche il fenomeno del tecnostress. Strettamente legato allo smart working, come spiega l'autrice Valentina Ruffini nell'introduzione, si tratta di un possibile nuovo rischio per la salute dei lavoratori che potrebbe provocare l'insorgere di una nuova malattia professionale alla stregua della Internet Addiction Disorder (IAD), la dipendenza da Internet, considerata come una malattia psichiatrica. Il tecnostress può causare mal di testa, insonnia, ansia, ipertensione, calo della concentrazione, disturbi gastrointestinali, disturbi cardiocircolatori, alterazioni comportamentali. La difficoltà sta nel capire che il malessere è collegato alla stretta dipendenza dalla tecnologia. In Italia il tecnostress è stato riconosciuto come malattia professionale a partire dal 2007.

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