di Luca Veronese
(REUTERS)
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Viktor Orban ha annunciato che chiamerà i cittadini ungheresi a esprimersi con un referendum sulla legge, approvata all’inizio del mese, che proibisce di esporre i minorenni a qualsiasi materiale riconducibile a persone Lgbt+: in televisione come nelle scuole.
Come per i migranti, alla ricerca di un nemico della patria, di nuovo per guadagnare consensi guardando alle elezioni del prossimo aprile, il premier sovranista da Budapest lancia la sfida a Bruxelles e ai valori fondanti del progetto di Unione europea: il referendum diventa lo strumento per riaffermare la «volontà del popolo» e contrastare la Commissione Ue che sul provvedimento ha appena avviato una procedura di infrazione per «discriminazione e violazione dei diritti delle persone Lgbt+».
La presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nell’ultimo vertice europeo, aveva definito la legge «una vergogna», dicendosi determinata a «utilizzare tutti i poteri legali della Commissione per fare in modo che siano garantiti i diritti di tutti i cittadini europei».
Il premier conservatore olandese Mark Rutte aveva invitato a Orban a «rispettare i valori della Ue o a lasciare il blocco». Lo stesso Mario Draghi era intervenuto per chiedere il rispetto dei Trattati sottoscritti anche dall’Ungheria.
Ma nonostante gli avvertimenti della Commissione, che per la violazione dello Stato di diritto è pronta a congelare i fondi destinati all’Ungheria per la ripresa post-pandemica, Orban punta a fare del referendum un plebiscito: non c’è ancora una data ma si sa che i quesiti saranno cinque «per decidere - spiegano dal governo di Budapest - se è giusto sottoporre, senza restrizioni, i bambini a video e discussioni nelle scuole che riguardano l’orientamento sessuale e il cambiamento di genere».
«Nelle ultime settimane, Bruxelles ha chiaramente attaccato l’Ungheria per la sua legge sulla protezione dei bambini. E questo solo perché le nostre leggi - ha sostenuto il premier su Facebook - non consentono la propaganda sessuale negli asili, nelle scuole, in televisione e nelle pubblicità. Gli attivisti Lgbt+ visitano asili e scuole e vi svolgono lezioni di educazione sessuale. Vogliono farlo anche in Ungheria. È in gioco il futuro dei nostri figli, non possiamo cedere terreno».
Mescolando sovranismo e religione, Orban ripropone lo schema con il quale nel 2016 organizzò un referendum contro l’ingresso dei migranti nel Paese per opporsi alle regole decise dentro alla Ue. Allora votò solo il 40% degli aventi diritto, ovviamente in blocco contro i migranti: una batosta per una destra che aveva già in mano il Paese, una «grande vittoria» nella propaganda di regime che spesso capovolge la realtà.
«Non ci sono praticamente migranti in Ungheria, mentre ci sono molte persone Lgbt+ e persone sensibili a questi temi», spiega Zoltan Novak, del think-tank Center for Fair Political Analysis: la paura dei migranti non porta più voti e così Orban, al governo dal 2010, ha fiutato il vento e, guardando alle elezioni del 2022, intende rafforzare la sua immagine di difensore dei valori della tradizione attaccando quelle che ama definire «le società liberali occidentali decadenti».
«Il premier - fa sapere l’opposizione di Coalizione Democratica - si è inventato per disperazione un’altra guerra contro Bruxelles, annunciando un referendum basato sulla menzogna».
Luca Veronese
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