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Hedge «computerizzati» verso il trilione di dollari: ecco tutti i rischi

di Enrico Marro

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10 gennaio 2018
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3' di lettura

Mille miliardi di dollari. Secondo le stime di HFR, è solo questione di tempo (poco, per la verità) e gli asset gestiti dagli hedge funds quantitativi supereranno la barriera del suono del trilione: nell’ottobre scorso si trovavano infatti a quota 940 miliardi, quasi il doppio rispetto al 2010. Un caso emblematico è quello della newyorchese Two Sigma, uno dei leader del settore, passata dai sei miliardi di dollari in gestione del 2011 agli oltre 50 miliardi dell’anno scorso.

A mettere benzina nel motore degli hedge “quant” è stato il boom delle strategie di trading automatizzate, dominate da algoritmi e intelligenze artificiali che setacciano oceani di “big data” di ogni tipo per decidere dove investire. Strumenti estremamente sofisticati, che per la verità stanno diventando sempre più alla portata anche del piccolo risparmiatore: basti pensare che tra ottobre e novembre negli Stati Uniti e in Canada sono comparsi i primi due Etf in cui è un’intelligenza artificiale a decidere dove investire, senza l’intervento di gestori umani.

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Attenzione poi perché gli hedge funds sono solo una parte della storia. Se allunghiamo lo sguardo anche su Etf e fondi tradizionali, secondo Morgan Stanley le strategie quantitative “controllano” già circa un trilione e mezzo di dollari, dopo una crescita media del 15% annuo delle masse gestite dal 2012 in poi.

L’avvento delle macchine anche nel mondo della finanza - inclusi fondi pensione e assicurazioni - è senza dubbio positivo, perché si traduce nella possibilità di raccogliere e analizzare una mole incredibile di dati in pochi secondi, con grande efficienza e diminuzione di costi per il cliente finale.

Ma con il dominio degli algoritmi si moltiplicano anche i rischi, come ha sottolineato un recente e molto interessante studio del Financial Stability Board (“Artificial intelligence and machine learning in financial services: market developments and financial stability implications”), l’organismo internazionale istituito dal G20 per monitorare la stabilità dei mercati mondiali.

Uno dei principali nodi è legato proprio alla “moda” di adottare intelligenze artificiali, che però agiscono con strategie d’investimento in buona parte simili tra loro. «Questo modo di operare sul mercato, come un gregge, può potenzialmente amplificare gli shock finanziari - spiega il report del Financial Stability Board - ma anche essere utilizzato da cybercriminali per rubare informazioni o manipolare i prezzi».

Un altro pericolo è rappresentato dall’ingresso sui mercati di nuovi attori: le aziende che sviluppano le intelligenze artificiali. Si tratta di un crescente numero di “terze parti” che potrebbe a sua volta avere ripercussioni imprevedibili sulle Borse. «Se infatti tante diverse aziende sviluppano singole strategie di trading - si legge nello studio del Financial Stability Board - diventa difficile per i supervisori prevedere come tutte questi differenti modelli interagiscono assieme sui mercati», in particolare nelle fasi di shock.

C’è un terzo importante rischio: parte delle strategie di investimento adottate delle intelligenze artificiali sono state sviluppate negli ultimi anni, ossia in un contesto di volatilità ai minimi storici e di solida crescita delle Borse. Una fase di calma piatta sui mercati, insomma, dovuta all’azione delle banche centrali, che però può risultare davvero fuorviante nel lungo periodo. E come si legge nel report, questi modelli «possono non agire in modo ottimale durante recessioni economiche significative o crisi finanziarie».

Quale sarà infatti la reazione degli algoritmi al primo “Cigno Nero”, l’evento negativo completamente inaspettato? Cosa avrebbero fatto le intelligenze artificiali nell’autunno del 2008, quando il sistema finanziario mondiale collassò sfiorando per la prima volta nella storia l’implosione? E' una domanda assolutamente legittima.

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