di Raoul de Forcade
Luca Sisto (Confitarma): l'Italia dipende moltissimo dal mare
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L’ordinamento e le procedure che regolano l'assegnazione della bandiera italiana all’armamento hanno bisogno di un forte e urgente intervento di semplificazione; il rischio, altrimenti, è che la flotta che attualmente batte il tricolore passi ad altre bandiere. Un esodo che è già iniziato da tempo e si è intensificato per le forti restrizioni imposte alla nostra bandiera (e non ad altre europee) dalla guerra tra Russia e Ucraina.
E i tempi per cambiare sono brevi perché, nel primo semestre di quest’anno, è atteso, dal ministero delle Infrastrutture, il decreto attuativo del dl 144/2022 che, recependo le indicazioni dell’Europa (Decisione Ue C/2020 3667), estenderà i benefici fiscali del Registro navale internazionale italiano (creato nel 1998) a tutte le nazioni dell’Ue e dello spazio economico europeo. Comprese quelle, come Malta, Madeira, Lussemburgo o Cipro, che permettono di accedere alla propria bandiera senza i mille lacciuoli burocratici che caratterizzano, invece, l’iter italiano.
A lanciare l’allarme, dati alla mano, è Confitarma: al 1° novembre 2022, la flotta di bandiera italiana si colloca, registra l'ufficio studi dell'associazione, al 17° posto nel ranking mondiale, con 13,6 milioni di tonnellate di stazza lorda, registrando un calo del 3,8% rispetto ai 14,2 milioni del 2021. Un trend che prosegue dal 2018, quando la flotta di bandiera registrava 15,1 milioni di tonnellate. Nel contesto europeo, la flotta con bandiera tricolore si colloca al 6° posto dopo quella maltese, greca, cipriota, danese e del Registro di Madeira.
«Nel corso del 2022 - sottolinea il presidente di Confitarma, Mario Mattioli - abbiamo avuto una leggera riduzione della flotta che ci ha anche fatto perdere qualche posto nella classifica europea. Questo per la bandiera italiana; ma se poi andiamo a vedere, in maniera più allargata, la flotta controllata dall’industria armatoriale italiana, troviamo un incremento rispetto all’anno precedente». In effetti, per quanto riguarda le navi che fanno capo a interessi italiani, il nostro Paese, a livello globale, risulta collocato all’8° posto, con quasi 51 milioni di tonnellate e un +7% rispetto ai 47,5 milioni del 2021 nonché un +21% rispetto ai 42,1 del 2018. In Ue, poi, l’Italia si colloca al 3° posto, dopo Grecia e Germania. I dati evidenziano, dunque, un calo di appeal della bandiera italiana, cui fa da contraltare un aumento della capacità industriale dell’armamento nazionale.
Questa situazione, prosegue Mattioli, «ci suggerisce che, per una serie di motivi, gli armatori italiani stanno già utilizzando bandiere estere. Chi lo fa, perde i benefici che l’Italia consente per il proprio Registro internazionale (personale a bordo, italiano ed europeo, completamente defiscalizzato e oneri sociali fiscalizzati dallo Stato, ndr)». Chi, invece, imbarca marittimi italiani su bandiera estera (i quali non pagano le imposte in Italia perché percettori di reddito all'estero), dovrà versare comunque alla previdenza marinara italiana quanto spetta ai marittimi stessi.
«Ciò significa - afferma Mattioli - che l’armatore pagherà un po’ di più, rispetto alla bandiera italiana, qualora abbia a bordo personale italiano o Ue. Però potrà contare su una burocrazia molto più semplice e su costi, legati alla bandiera non italiana, che fanno da contraltare all'eventuale maggior costo del personale. Non solo: eviterà le “preclusioni” che subisce un certo naviglio di bandiera italiana nel momento in cui, ad esempio, aumentano i livelli di sicurezza». Il riferimento è a quanto avvenuto con lo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, quando la bandiera italiana, prima e più di altre europee, ha elevato il livello di sicurezza a tal punto che, alle navi tricolori, è stato inibito l’ingresso nelle acque di Russia e Ucraina.
A quel punto, chiarisce Mattioli, «qualche società armatoriale ha deciso di cambiare bandiera, anche per ottemperare, dal punto di vista commerciale, ai contratti di noleggio di lungo termine già firmati. E questo prima della legge che prevede l’estensione dei benefici del Registro italiano».
Facile immaginare come potrà acuirsi questa tendenza «nel momento in cui - chiosa Mattioli - l’armatore italiano potrà avere, con altre bandiere comunitarie, gli stessi benefici che oggi ha con la sola bandiera italiana. Se non modifichiamo e modernizziamo la nostra burocrazia e i costi connessi, corriamo il rischio che gli armatori perdano l’orgoglio di battere il tricolore. Anche i tempi sono un fattore economico di estrema importanza. Per iscrivere una nave su altri registri, basta un telefonino e un messaggio whatsapp.
Da noi si passa una trafila interminabile che in altri Paesi non c’è. Per fare un cambio di bandiera, da noi si è costretti ad aspettare 6-7 giorni. E solo la bandiera italiana prevede che, per determinati tipi d’ispezione, l’armatore debba organizzare e pagare le trasferte all’estero di funzionari delle capitanerie o del Mise. Per fortuna, ora abbiamo ottenuto la promessa, dal Comando generale della Guardia costiera, che, a breve, ci sarà la possibilità di delegare all’ente di classifica della nave anche le verifiche ispettive che oggi vengono fatte solo da personale italiano che si muove in trasferta. Questo allevierà un onere economico».
Raoul de Forcade
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