di Marcello Minenna
Covid, il centro di Shanghai resta ancora in lockdown
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La seconda economia del mondo non è in buona salute, e i primi sintomi si stanno manifestando rapidamente sul mercato finanziario sotto forma di forti deflussi di capitale. Nonostante sia troppo presto per dati affidabili dall'economia reale, è plausibile che l’impatto combinato del posizionamento ambiguo della Cina nel conflitto russo-ucraino e dei lockdown di massa a tempo indeterminato di metà della popolazione stia spingendo l’economia in una spirale discendente brusca ed inattesa.
A fine 2021 lo stato delle partite correnti cinesi, che misurano l'interscambio commerciale e finanziario con il resto del mondo, appariva in buone condizioni (vedi Figura 1). Nonostante una stasi di alcuni trimestri connessa con i problemi di congestione delle catene globali di distribuzione merci, il surplus commerciale rimaneva intorno ai massimi storici (600 miliardi di $ l'anno, barre rosse), confermando la posizione dominante dell'economia cinese come “fabbrica del mondo”, tra i pochi Paesi usciti vincenti dalla crisi pandemica.
Dopo la forte contrazione del periodo pandemico 2020-2021, i flussi turistici apparivano in leggera ripresa (barre gialle), mentre erano in forte crescita i deflussi di liquidità dovuti agli esborsi di interessi sugli investimenti da/verso l'estero, diretti e di portafoglio (barre celesti), spia della crescente integrazione del sistema finanziario cinese con quello internazionale.
Per capire meglio la destinazione d'uso della liquidità in ingresso/uscita dalla Cina è utile fare riferimento al saldo gemello rispetto a quello corrente, il conto finanziario della bilancia dei pagamenti. Per definizione la somma dei due saldi, del conto capitale e di eventuali errori ed omissioni deve essere pari a zero.
Nel mondo “allo specchio” del conto finanziario, valori positivi sono convenzionalmente associati a deflussi di liquidità, e viceversa. Ad esempio, un investimento in attività estere del settore privato cinese è contabilizzato come deflusso di liquidità, un disinvestimento viceversa. Parimenti, un investimento estero in attività cinesi è considerato un afflusso di liquidità, un disinvestimento viceversa (vedi Figura 2).
I dati mostrano come nel periodo che va dalla seconda metà 2020 a tutto il 2021 si sia registrato – mediamente – un deflusso netto di liquidità, guidato dall'accumulo di riserve valutarie ufficiali (barre gialle), dal boom dei prestiti effettuati e delle linee di credito concesse dalle banche e corporations cinesi sul mercato interbancario globale (barre celesti) e dall'esposizione del settore privato cinese verso azioni e fondi di investimento esteri, plausibilmente USA (barre verdi).
Parte di questi flussi finanziari sono stati compensati da afflussi dall'estero, soprattutto tramite investimenti diretti (barre rosse, circa 200 miliardi di $ a trimestre), ma anche in acquisizioni di asset finanziari. È stata notevole la crescita degli investimenti esteri nel settore privato non finanziario cinese: prevalentemente obbligazioni (barre arancioni), ma anche azioni (barre blu), soprattutto nella seconda parte del 2021.
Il dato più recente che riflette quanto è accaduto nel primo trimestre 2022 evidenzia una riduzione notevole degli afflussi di liquidità sugli asset finanziari cinesi, più marcato sui titoli obbligazionari. Vale la pena inquadrare nel dettaglio l'andamento di questi flussi a livello mensile (vedi Figura 3), effettuando una decomposizione per tipologia di strumento finanziario.
Aumentando il focus è immediato apprezzare il cambio di passo degli investitori internazionali nei confronti del mercato obbligazionario cinese verificatosi a inizio 2022. Il ciclo di espansione degli investimenti che era partito nella primavera 2020 si può considerare esaurito. Da febbraio 2022 gli investitori esteri hanno iniziato a liquidare la propria esposizione in titoli di debito cinesi, prevalentemente governativi o di banche pubbliche (barre rosse e blu). Tra marzo e maggio oltre 30 miliardi di $ hanno lasciato il Paese e l'evento scatenante con tutta probabilità è stato l'esplosione del conflitto russo-ucraino. Il posizionamento ambiguo di Pechino rispetto all'iniziativa militare della Russia verso uno Stato sovrano ed il crescente timore di una svolta autoritaria in Cina, specie nei confronti di Taiwan, hanno ragionevolmente spinto gli investitori occidentali a ripiegare su asset più sicuri.
Ci sono ovviamente anche ragioni di opportunità finanziaria: questi flussi di portafoglio sono molto volatili e dipendenti dall'andamento di variabili quali i tassi di interesse e di cambio e dalla direzione della politica monetaria delle principali banche centrali.
La Figura 4 mette in relazione l'andamento degli investimenti di portafoglio esteri (stavolta anche in azioni e fondi comuni) con il differenziale di rendimento tra treasuries USA e titoli governativi cinesi. Con un discreto colpo d'occhio si nota la correlazione diretta tra le grandezze: in periodi di normalità i flussi verso gli asset cinesi aumentano se cresce lo spread con gli USA e viceversa. Il differenziale era in riduzione già da diversi mesi per via delle aspettative di un aumento dei tassi di interesse negli USA e questo spiega sicuramente la tendenza a ridurre l'esposizione estera sulla Cina. A questo si aggiunge che quest'anno la banca centrale cinese sta adottando invece una politica monetaria accomodante per stimolare l'economia in un momento delicato. Tuttavia l'entità del crollo registrato tra febbraio e marzo non si può spiegare soltanto attraverso la dinamica dei tassi di interesse.
Guardando meglio, a gennaio 2022 anche le riserve valutarie ufficiali hanno invertito il trend, nonostante il dato sui flussi annuali indichi ancora una crescita. I flussi mensili mostrano, infatti, una riduzione di circa 200 miliardi di $ in 3 mesi (-5,85%), con un'accelerazione apprezzabile nell'ultimo mese (vedi Figura 5).
Il quadro macro-economico è repentinamente peggiorato nel mese di aprile 2022 per via delle drastiche azioni di contenimento della variante Omicron 2 da parte del governo di Pechino. Circa il 40% della popolazione cinese è finito rapidamente in un lockdown durissimo che supera ampiamente gli standard osservati a Wuhan nel febbraio 2020.
A Shanghai la popolazione è confinata all'interno delle abitazioni e subisce forti limitazioni nell'acquisto di beni di consumo a domicilio, anche essenziali. Ad aprile il porto della megalopoli ha subìto un decremento annuale del traffico pari al -20% mentre il numero delle navi ferme al largo in attesa di scarico ha raggiunto un picco storico (oltre 500). Non ci sono scenari in miglioramento, dato che Pechino deve ancora fronteggiare la fase ascendente dell'onda epidemica. Impossibile che un simile shock simultaneo alla domanda ed all'offerta non abbia conseguenze importanti sul PIL: tra i primi dati significativi, ad aprile le vendite di nuovi veicoli a livello nazionale sono scese del 48%.
Nel mondo finanziario, il tasso di cambio Yuan/dollaro ha reagito immediatamente al mutamento di prospettiva riguardo alla crescita economica: da metà aprile ad oggi il cambio è passato da 6,3 a 6,7 Yuan per dollaro, un deprezzamento ancora modesto (1,64%), ma allarmante per la rapidità e per le prospettive in peggioramento dell'economia (vedi di nuovo Figura 5). Il rapido indebolimento del tasso di cambio potrebbe indurre peraltro una maggiore riduzione tendenziale delle riserve valutarie, utilizzate in passato dalla People Bank of China (PBOC) a sostegno della domanda di valuta nazionale.
Inoltre, la PBOC ha consolidato lo stimolo monetario, riducendo i coefficienti di riserva obbligatoria per le banche, nel tentativo di stimolare i prestiti a famiglie e, soprattutto, alle imprese più colpite come quelle della logistica. Una misura espansiva che di sicuro spinge al ribasso il tasso di cambio senza garantire però effetti positivi sull'economia reale. Anzi, molti analisti dubitano che le misure classiche di stimolo (tra cui uno sconto fiscale alle piccole imprese) possano funzionare in una lockdown-economy dove ad essere inibito alla fonte è proprio il numero di transazioni commerciali.
Le conseguenze dell'arresto della locomotiva cinese per l'economia mondiale saranno plausibilmente molto severe, in un quadro già in deterioramento per via dei prezzi dell'energia e dei beni alimentari alle stelle ed il rischio di un allargamento del conflitto tra Russia e Ucraina. Come costo minimo, c'è da attendersi un peggioramento della scarsità di beni industriali finiti, soprattutto nel settore dell'elettronica e quello farmaceutico.
Dal lato della domanda, vale la pena ricordare come l'interdipendenza dei cicli economici tra Germania e Cina sia sempre più stretta (vedi Figura 6).
La Figura 6 mette in relazione il ciclo di espansione del credito in Cina (in gergo tecnico il credit impulse, riportato con un lag di 6 mesi) connesso alla politica monetaria di Pechino con le variazioni a 12 mesi dell'indice dell'attività manifatturiera delle imprese tedesche. In altri termini, un aumento del credito ad imprese e consumatori in Cina tende a provocare, con un ritardo di circa 6 mesi, una variazione contestuale dell'attività delle imprese tedesche attraverso un aumento delle esportazioni verso la Cina. Se si considera che la relazione che lega questa due variabili è indiretta e diluita nel tempo, nell'ultimo decennio lo stimolo monetario all'economia cinese si mostra in crescente correlazione con un'espansione dell'attività industriale in Germania.
In questa prospettiva, in Europa bisogna ancora scontare pienamente gli effetti recessivi della decrescita del credito in Cina. In una situazione normale, le misure monetarie in atto dovrebbero portare ad una chiara inversione del trend ed in un recupero della domanda di prestiti in Cina che potrebbe avere degli effetti positivi nel vecchio continente nel 2023.
Ma l'attuale contesto tutto è tranne che normale: se dovessimo rimanere con lockdown ripetuti in Cina (Omicron 2 è straordinariamente contagiosa ed è sempre lì in agguato) e la guerra in Ucraina dovesse trascinarsi ancora per diversi mesi, l'autunno potrebbe portare una recessione globale molto pesante, aggravata da problemi energetici ed una crisi alimentare nei Paesi a rischio. Uno scenario da evitare assolutamente.
Marcello Minenna, Direttore Generale dell'Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli
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Marcello Minenna
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