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Draghi, l’asse con il Pd e Grillo: le spine di Conte leader del M5s

di Emilia Patta

M5s, Giuseppe Conte eletto presidente

All’ex presidente del Consiglio non resta che provare a far «rispettare i numeri del M5s in Parlamento» e incidere il più possibile sulle tante riforme che attendono il sì del Consiglio dei ministri al rientro dalle ferie agostane, a cominciare da concorrenza e fisco

7 agosto 2021
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5' di lettura

«Se i cittadini vogliono che la riforma Cartabia cambi, in caso di esiti insperati prima della fine del regime transitorio, ovvero il 2024, non dovranno che votarci in massa: ho preso il solenne impegno che non consentiremo impunità». In fondo quello che ha in mente Giuseppe Conte per quanto riguarda il rapporto del nuovo M5s con il governo Draghi è tutto in questa frase contenuta nell’intervista concessa al foglio di riferimento, il Fatto quotidiano, subito dopo l’incoronazione.

Di governo ma anche e soprattutto di lotta, seppure con i toni garbati che contraddistinguono il professore di diritto che è stato premier “per caso” per tre anni con due maggioranze opposte: prima M5s-Lega, poi M5s-Pd-Leu-Iv. Puntare a modificare le riforme appena approvate in Parlamento a stragrande maggioranza è l’esatto opposto di quello a cui punta Mario Draghi: varare riforme concordate con l’Unione europea in modo condiviso in modo che, indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni, ci sia continuità sull’infrastruttura giuridico-istituzionale-economica del Paese.

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Il rapporto con Draghi: Conte di lotta e di governo

Chiaro che Conte preferirebbe tornare al voto il più presto possibile per incassare la popolarità di cui ancora gode, magari nella primavera prossima subito dopo l’elezione del successore di Sergio Mattarella al Quirinale. Non a caso nel suo discorso di investitura ha annunciato la presentazione «del più articolato e partecipato programma di governo mai elaborato» per la fine del 2021: tenersi pronti, in ogni caso. Ma il neo leader sa anche che tirare troppo la corda con il governo Draghi fino a metterlo in pericolo non gli sarà consentito: dagli altri partiti della larga maggioranza draghiana, Pd e Lega in primis, ma anche dalla cospicua ala governista del movimento che vede nel ministro degli Esteri Luigi Di Maio il suo punto di riferimento. A Conte non resta che provare a far «rispettare i numeri del M5s in Parlamento» e incidere il più possibile sulle tante riforme che attendono il sì del Consiglio dei ministri al rientro dalle ferie agostane: concorrenza e fisco in primis, già slittate a causa della faticosa mediazione che ha comportato il via libera della Camera alla riforma del processo penale. Riforma approvata dal M5s ob torto collo, come dimostrano le prime parole da leader di Conte.

Enrico Letta e il dilemma: con il M5s o con l’agenda Draghi?

Questo atteggiamento di lotta e di governo crea qualche difficoltà al premier, certo, che dovrà mettere in campo un sovrappiù di pazienza e di capacità di mediazione, ma avrà effetti anche sugli altri partiti della maggioranza: da una parte la Lega si sentirà di rimando autorizzata ad alzare i toni sulle sue, di bandiere; dall’altra il Pd si troverà vieppiù in difficoltà a proseguire sulla strada della costruzione della coalizione progressista che dovrà sfidare il centrodestra unito alle prossime elezioni politiche. Già i rapporti tra Conte e il segretario del Pd Enrico Letta si sono raffreddati nelle scorse settimane proprio a causa del braccio di ferro sul nodo dell’improcedibilità introdotta dalla riforma Cartabia per superare il blocco della prescrizione deciso a suo tempo dal M5s e dall’allora ministro Alfonso Bonafede. Per i dem ora si tratta di un bivio di identità: intestarsi l’agenda Draghi, visto anche il grande prestigio e la grande popolarità di cui gode il premier, oppure inseguire il M5s di Conte nei distinguo?

La futura coalizione e il magro bottino del patto M5s-Pd alle amministrative

Quanto alle ormai imminenti elezioni amministrative, il bilancio dell’alleanza M5s-Pd rischia di essere piuttosto magro. Il 3 ottobre si voterà nei grandi comuni, Roma Milano Torino Bologna Napoli, e in altri mille comuni italiani. I sondaggi parlano di liste 5 Stelle in affanno nei consensi al primo turno ma i cui voti potrebbero essere importanti dove è stata formata una coalizione di centrosinistra e ancora di più nei ballottaggi. Ma a ben vedere il patto M5s-Pd che Conte e Letta avevano immaginato come «una meravigliosa avventura» nel loro primo incontro del marzo scorso esiste solo a Napoli, a Bologna e in Calabria. A Roma e Torino, dove hanno governato per cinque anni le sindache uscenti Chiara Appendino e Virginia Raggi (entrambe faranno parte del comitato direttivo del M5s, la nuova “segreteria” che Conte nominerà a settembre), sarà contrapposizione dura ed è ormai escluso un apparentamento al ballottaggio. Il bilancio si farà a metà ottobre, ma è chiaro che se l’alleanza M5s-Pd dovesse fallire dove si è riuscito a metterla in piedi ciò sarebbe un pessimo viatico in vista delle elezioni politiche del 2023.

Il M5s e il risiko delle nomine interne

L’incoronazione di Conte con risultati bulgari, abbastanza scontati vista la presenza di una sola candidatura ma che comunque confortano l’ex premier (67.064 partecipanti al voto su 115.130 aventi diritto, di cui 62.242 - il 92,8% - hanno votato per il sì alla leadership), dovrebbe facilitare almeno a breve termine l’esercizio della leadership sul M5s e sui suoi gruppi parlamentari dopo un anno e mezzo di “vacatio”, ossia da quando nel gennaio 2020 Di Maio si dimise dalla carica di leader politico. Agosto sarà dedicato alla definizione della squadra: se la nomina del comitato di garanzia e dei probiviri spetta secondo il nuovo statuto a Beppe Grillo (e per il ruolo di “garanti” sono in pole Di Maio e il presidente della Camera Roberto Fico), sarà Conte in qualità di presidente a scegliere i due o tre vicepresidenti e il comitato direttivo di una ventina di membri: in questa sede il neo leader ha intenzione di valorizzare, oltre a big come l’ex Guardasigilli Bonafede e l’ex reggente Vito Crimi, le «risorse preziose» scoperte nei giorni scorsi durante gli incontri con i parlamentari pentastellati delle commissioni (si fanno tra gli altri i nomi di Mario Turco, per altro già sottosegretario a Palazzo Chigi con Conte premier, e della sottosegretaria all’Istruzione Barbara Floridia). Di certo Conte dovrà usare il bilancino del vecchio manuale Cencelli per non scontentare nessuna anima, a cominciare dagli ortodossi ostili al governo Draghi e sempre con un piede sull’uscio.

Due spettri per il neo leader: Grillo e Di Battista

Resta il nodo della pax interna. Nodo che ha due nomi e cognomi: Beppe Grillo e Alessandro Di Battista. Quest’ultimo, al momento disiscrittosi dal movimento e fiero oppositore del governo Draghi, si erge a difensore dell’ortodossia originaria del M5s a cominciare dal limite del secondo mandato che invece Conte è intenzionato a tempo debito a superare per valorizzare «le competenze»: sarà il punto di riferimento dei fuoriusciti che guardano ancora a Davide Casaleggio e alla sua Rousseau o Conte riuscirà a tenerlo dentro il perimetro del suo M5s? Quanto a Grillo, che resta il Garante del movimento nonché il proprietario del simbolo, c’è da credere che il dualismo con Conte sia solo momentaneamente sotterrato. L’assordante silenzio di questi giorni di votazioni sulla nuova piattaforma on line Skyvote è emblematico: non una parola di incoraggiamento e di commento. Anzi, sul suo blog è apparso un post dei suoi, sui “cicli produttivi/energetici”e “aumento dell’evapotraspirazione”.

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