di Stefano Mele
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Per il governo guidato da Giorgia Meloni si è appena chiusa la finestra temporale per sfruttare il sistema dello spoil system nei confronti dei circa 40 dirigenti apicali attualmente ai vertici dell'amministrazione pubblica. Tuttavia, seppure questa pratica politica – prevista, sin dal 2002, dalle leggi Bassanini – rappresenti un momento di snodo importante nella vita dell'attuale governo, la vera partita politica si giocherà tra marzo e giugno. In questo arco di tempo, infatti, scadranno i termini (di 120 o 180 giorni) per il rinnovo dei consigli di amministrazione di alcune tra le principali società controllate e partecipate dallo Stato, i cui organi amministrativi sono arrivati a scadenza il 31 dicembre 2022.
Secondo l'ultimo rapporto del servizio di controllo parlamentare della Camera dei deputati sugli assetti organizzativi delle principali società a partecipazione pubblica, dovranno essere rinnovati i consigli di amministrazione di circa 70 società. I nomi spaziano da Eni, Ferrovie dello Stato, Leonardo, RAI, Poste Italiane e da buona parte della loro galassia di aziende partecipate, fino a società come ENEL, CDP Venture Capital Sgr, Infratel, ENAV, Difesa Servizi, Italia Trasporto Aereo (ITA), Consip e Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato (IPZS).
In considerazione delle attività e del ruolo svolto da tali società, risulta chiaro come il fascicolo sul rinnovo dei componenti dei consigli di amministrazione – oggi sulle scrivanie di alcuni tra i Ministri di maggior peso di questo governo, come Crosetto, Giorgetti e Urso – sarà strategico per la sicurezza nazionale e per la futura crescita economica del nostro Paese.
In tale contesto, ciò che appare fin da subito auspicabile – se non imprescindibile – è che venga colta l'opportunità di riservare finalmente un posto al tavolo dei consigli di amministrazione di queste società anche agli esperti di cybersecurity. Professionisti, quindi, capaci di comprendere lo scenario attuale e futuro delle minacce cibernetiche, le loro ricadute sul business e sull'operatività dei servizi delle aziende, che oggigiorno possono essere compromessi attraverso operazioni di spionaggio cyber o un “semplice” ransomware, nonché le loro conseguenze in termini di compliance normativa, processi interni e reputazione. Peraltro, la presenza di tali figure all'interno dei CdA rafforzerebbe anche la consapevolezza su tutti i temi di cybersecurity tra i membri del consiglio e tra i dipendenti di tali società.
Infatti, tale esigenza è testimoniata dal fatto che quello appena trascorso è stato l'anno peggiore di sempre per numero e, soprattutto, per qualità di attacchi informatici subiti dai soggetti pubblici e privati a livello internazionale, Italia inclusa.
Lo si apprende in maniera molto chiara dalle parole del Direttore dell'Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN), Roberto Baldoni. Lo si tocca quasi con mano nello scenario fotografato dai recentissimi dati diffusi dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni, guidata da Ivano Gabrielli, in cui viene mostrato un 2022 caratterizzato da un incremento di ben il 138% degli attacchi cibernetici alle infrastrutture critiche nazionali, ai sistemi finanziari e alle aziende operanti in settori strategici, come ad esempio, quelle delle telecomunicazioni e della difesa. Si è passati, infatti, da circa 5.400 attacchi informatici nel 2021 a quasi 13.000 nel 2022.
Una situazione di tale gravità non riguarda ovviamente solo l'Italia. Simili statistiche – in alcuni casi anche peggiori – si possono riscontrare nei dati ufficiali di ogni Stato.
Proprio per questo, ad esempio, il governo degli Stati Uniti, attraverso l'azione della Securities and Exchange Commission (SEC), un organo simile alla CONSOB italiana, presto obbligherà i consigli di amministrazione delle società quotate a dare il giusto peso al tema della cybersecurity. Nello specifico, in base alle regole che dovrebbero essere finalizzate già il prossimo aprile, si richiederà a tali società di condividere con la SEC le informazioni sugli incidenti informatici considerati – singolarmente o nel loro complesso – come “rilevanti” e di comunicare a tale autorità le competenze dei membri del consiglio di amministrazione in materia di cybersecurity, nonché le loro azioni più significative a sostegno della governance della sicurezza (e.g., le attività svolte in fase di supervisione dei rischi informatici). Nei piani della SEC queste richieste dovrebbero far sì che i consigli di amministrazione delle società quotate vedano finalmente la cybersecurity come un asset capace di creare valore e non come una questione puramente tecnico-informatica.
Non è un caso che alcune tra le più importanti aziende quotate italiane abbiano riscontrato, già dallo scorso anno, un'elevata attenzione da parte delle principali società americane di rating verso le competenze in materia di cybersecurity dei membri dei loro consigli di amministrazione, così come delle attività svolte durante l'anno per governare il c.d. rischio cyber.
L'attenzione verso questi temi, quindi, non potrà che crescere e consolidarsi nel corso dei prossimi anni, espandendosi inevitabilmente anche oltre il confine delle società quotate. Questo, almeno, non può che essere l'auspicio. Consapevoli del fatto che, oggigiorno, parlare di cybersecurity non significa – e non può più significare – parlare solo ed esclusivamente degli aspetti tecnici della materia. Occorre comprendere, invece, che la cybersecurity è oggi più che mai un tema legato alla crescita e alla stabilità economica, ai piani strategici, alla governance e alla gestione dei rischi, allo sviluppo del business, alla continuità operativa, così come ai posti di lavoro e alla reputazione delle società. Per alcune tipologie di società è anche un tema di partecipazione alla sicurezza nazionale. In una parola, almeno nel mondo dell'industria, la cybersecurity è uno dei temi principali per i board e deve essere urgentemente affidato a dei professionisti.
Avvocato e socio di Gianni & Origoni, ove è il responsabile del Dipartimento di Cybersecurity Law e co-responsabile del Dipartimento Privacy
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