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Il messaggio dirigistico lanciato dalla Consulta sulla riforma delle Bcc

di Giuseppe Melis

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(Imagoeconomica)

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24 luglio 2021
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3' di lettura

La timida luce di speranza in una rinnovata attenzione alla materia tributaria da parte della Consulta, accesa dalle sentenze 288/2019 e 158/2020, viene ricacciata nel buio dalla sentenza 149/2021 sul prelievo del 20% sul patrimonio netto delle Bcc avvalsesi della possibilità, offerta dal legislatore solo a quelle patrimonialmente autosufficienti in alternativa all’adesione al gruppo cooperativo bancario, di conferire l’azienda bancaria in una SpA di nuova costituzione mantenendo i vincoli mutualistici, riserve indivisibili comprese, in capo alla conferente.

Questo prelievo, la cui ratio ultima viene individuata dalla Corte nel costringere queste ultime a rinunziare all’alternativa e aderire anch’esse al gruppo cooperativo onde non far fallire il disegno legislativo, viene giustificato attraverso una serie di passaggi argomentativi a un tempo errati e preoccupanti.

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In primo luogo, attraverso il completo travisamento della ratio sottostante la devoluzione del patrimonio ai fondi mutualistici, considerato dalla Corte effetto naturale della mancata adesione al gruppo bancario e dell’avvenuto conferimento, ignorando tuttavia l’elementare circostanza della permanenza del vincolo di indivisibilità delle riserve. Si tratta, infatti, di un conferimento sui generis in cui aspetti mutualistici e capitalistici convivono tra di loro.

In secondo luogo, negando la natura coattiva del prelievo, poiché mancherebbe il diritto alla riscossione forzosa. Ora, non solo quest’ultima viene qui assorbita dal venir meno di qualsiasi patrimonio da escutere – conseguendo ex lege al mancato pagamento la devoluzione del patrimonio agli enti mutualistici – ma, nella consolidata giurisprudenza della Corte, inspiegabilmente taciuta, la natura coattiva risiede nell’essere il prelievo istituito con un atto di autorità, senza che la volontà dell’obbligato vi abbia concorso, a nulla rilevando ulteriori profili procedimentali. Sicché, conducendo alle estreme conseguenze il ragionamento, ne andrebbe persino esclusa la natura di prestazione patrimoniale imposta e il “prezzo” potrebbe essere determinato con atto regolamentare.

In terzo luogo, affermando che si tratterebbe di un mero pagamento “spontaneo” per ottenere un determinato vantaggio (un onere): sicché anche le tasse – provocate dalla domanda o dal comportamento del soggetto e realizzanti uno scambio di utilità, tant’è che originariamente le si qualificava come “onere” – non sarebbero “coattive”.

E poiché non esistono entrate pubbliche coattive diverse da tributi, sanzioni, indennità di espropriazione, prelievi forzosi ed entrate parafiscali, la qualificazione di questo prelievo come “onere condizionale” è pura invenzione. Non a caso per il versamento di questo “prezzo” mediante F24 venne istituito un apposito codice tributo e le somme confluirono nel bilancio statale tra le entrate tributarie.

Infine, travisando l’argomento storico, connesso alla circostanza che, mentre nella versione originaria si prevedeva un’imposta del 20% a fronte della trasformazione in SpA con conseguente affrancamento delle riserve indivisibili (una sorta di recapture), un pari prelievo, pur diversamente denominato, è rimasto nonostante il rinnovato vincolo di indivisibilità. All’affrancamento delle riserve sarebbe infatti seguito un esercizio diretto dell’impresa bancaria in forma di SpA (e non già “vincolato”, come nella specie); sicché è errato affermare che il medesimo prelievo si giustifica adesso solo perché l’esercizio dell’attività bancaria viene… “esternalizzato”. Se così fosse, la versione originaria avrebbe dovuto prevedere due prelievi, l’uno per l’affrancamento, l’altro per l’esercizio in forma puramente capitalistica dell’attività bancaria. Secondo la Corte, pertanto, nel meno… sta il più.

Un tale sovvertimento delle consolidate categorie giuridiche non può che spiegarsi se non con la volontà di affermare un messaggio dirigistico a ogni costo: in ultima analisi, il “prezzo” cui allude la Corte è proprio quello della libertà (peraltro “condizionata”) di impresa, sottratto a ogni garanzia costituzionale.

Ma è proprio l’impostazione dirigistica e l’inconsistenza degli argomenti addotti a giustificazione del prelievo ad aprire nuove prospettive di difesa alla Bcc “ribelle” sul duplice fronte unionale e della Cedu: non è del resto un caso che tali fronti abbiano da tempo soppiantato la Consulta nelle aspettative di giustizia dei contribuenti italiani dinanzi ai soprusi del legislatore.

(Professore Ordinario di Diritto Tributario Dipartimento di Giurisprudenza della LUISS Guido Carli e direttore del Master di II livello in Diritto tributario - LUISS Business School)

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