di Emilia Patta
Giusepep Conte
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Confermata la legittimità dell’elezione di Giuseppe Conte a presidente del M5s. La notizia che arriva dal Tribunale di Napoli fa tirare all’ex premier un bel respiro di sollievo: il giudice Loredana Ferrara (settima sezione civile del Tribunale) questa volta ha respinto il ricorso presentato da un gruppo di attivisti rappresentati dall’avvocato Lorenzo Borrè contro le modifiche allo statuto del M5s e la riconferma di Conte alla presidenza. Votazione ripetuta a marzo scorso dopo che lo stesso Tribunale di Napoli aveva annullato quella dell’agosto 2021. In sintesi, per restare ai punti più rilevanti del ricorso: per i giudici l'utilizzo della piattaforma SkyVote invece di Rousseau non ha avuto riflesso sulla validità del voto; l'esclusione degli iscritti da meno di sei mesi dalle votazioni è stata giudicata legittima: non solo non ha modificato l'esito ma ha evitato strumentalizzazioni; l’indicazione di Conte presidente da parte di Beppe Grillo non ha significato una sua sicura elezione - e quindi una cooptazione - perché l'elezione è stata comunque rimessa alla volontà dell'assemblea degli iscritti, i quali avrebbero potuto anche votare no.
Motivazioni giuridiche a parte, il dato politico è chiaro: la decisione blinda, almeno per ora, Conte alla guida del movimento e rende più difficili le manovre interne per indebolirlo o sostituirlo. Certo, resta e pesa la cocente sconfitta alle comunali, che hanno dimostrato l’evaporazione del M5s sui territori (anche nella roccaforte siciliana di Palermo, dove il movimento si ferma sotto il 7%). Per questo la prima reazione di Conte è stata la nomina di 20 responsabili regionali per il rilancio del “nuovo corso”, che tanto nuovo non è più dopo un anno e mezzo dalla nomina da parte di Beppe Grillo. Ad ogni modo il presidente riconfermato avrà più serenità nell’affrontare il difficile passaggio del voto degli iscritti sulla vexata quaestio del limite di due mandati: regola difesa dal Garante Grillo e che, se confermata, escluderebbe dalle prossime liste elettorali buona parte della classe dirigente. A partire dal presidente della Camera Roberto Fico e soprattutto dal ministro degli Esteri nonché principale competitor interno Luigi Di Maio. Conte da parte sua non si schiera («non dirò come la penso sul punto per non influenzare il voto degli iscritti»), ma è chiaro che dal suo punto di vista la questione del doppio mandato rappresenta un’arma per depontenziare Di Maio e i suoi.
C’è il doppio mandato, e ci sono la guerra in Ucraina e il sostegno al governo Draghi. Nel commentare l’esito delle comunali Conte, così come l’altro grande sconfitto dalle urne Matteo Salvini, ha evocato esplicitamente l’uscita dal governo («ce lo chiedono in molti, e noi dobbiamo ascoltare i cittadini») dando la colpa del calo dei consensi proprio al sostengo a Draghi («è chiaro che stiamo pagando un prezzo»). Parole che hanno subito allarmato i dimaiani, che non escludono più - ora che Conte è almeno temporaneamente rinsaldato alla guida del movimento - la formazione di gruppi autonomi in Parlamento. Anche in vista della composizione delle liste: tra il taglio dei parlamentari e il crollo del M5s nei consensi, della truppa di oltre 300 eletti potrebbero rientarne nel 2023 solo una cinquantina. E se tutti i posti andranno ai contiani e alle new entry, tanto vale tentare la fortuna di un nuovo movimento politico.
Quanto all’evocazione dell’uscita dal governo da parte di Conte e del leader della Lega Salvini va detto che una crisi, se la politica ha ancora una logica, non si apre mai sull’onda di una sconfitta. Anche il tentativo fallito di Salvini nell’estate del Papeete due anni fa fu sull’onda della schiacciante vittoria alle europee con il 34%. Più probabile che i due leader sconfitti alle urne, pur non avendo la forza politica di spezzare la corda anche perché questo provocherebbe una rivolta se non una scissione nei rispettivi partiti, accentueranno nelle prossime settimane la propria turbolenza. Non una vera crisi, ma certo una premessa di instabilità e di difficoltà di navigazione per il governo Draghi nei difficili mesi che ci attendono, tra la guerra in Ucraina e l’obiettivo di attuare le riforme indispensabili per continuare ad incassare da Bruxelles i finanziamenti del Pnrr.
Intanto il crollo dei penstastellati nel voto comunale spinge sempre più il Pd di Enrico Letta a interrogarsi sul perimetro del campo largo. È di queste ore l’appello del segretario dem a Carlo Calenda con la sua Azione e a Matteo Renzi con Italia Viva per convergere tutti al secondo turno nelle città contro le destre.«Parlerò con tutti, anche con Calenda e Renzi, sia su territori che a livello nazionale, per convincerli dell’importanza che a vincere i ballottaggi sia il centrosinistra». La missione lettiana resta quella di gettare subito le basi del campo largo, già a partire dai ballottaggi del 25 giugno, per poi costruire una coalizione che metta insieme sinistra di Leu, M5s, Azione e Iv per le politiche del 2023. Una strada tutta in salita, ma l’unica che il Pd può percorrere per provare a competere nei collegi uninominali del Rosatellum.
Emilia Patta
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