di Serena Uccello
Smart Working, prima indagine su policy aziendali in Italia
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Tra i molti cambiamenti introdotti dall’esperienza pandemica, c’è sicuramente una diffusa percezione di insicurezza. Le aziende cioè – esattamente come gli individui – si sono ritrovate a fare i conti con la propria fragilità. In primo luogo nel tentativo di rispondere alla domanda su quanto siano effettivamente capaci di tutelarsi e tutelare i propri dipendenti. L’impatto più immediato di questo interrogativo è stata la ridefinizione delle proprie strategie di mobilità nazionale ed internazionale. Vediamo come.
Secondo l’International Mobility Survey 2022 di Aon (gruppo leader nella consulenza dei rischi e delle risorse umane e nell’intermediazione assicurativa), che ha sentito 200 grandi imprese italiane, con la fine della fase più drammatica della pandemia, i datori di lavoro stanno riconsiderando l’utilità e la necessità di spostarsi a livello internazionale.
I viaggi d’affari servono veramente? Sì, ma non sempre e le difficoltà sono aumentate, in primo luogo quelle riguardanti la sicurezza, che preoccupa il 75% dei datori di lavoro, seguite da quelle che riguardano l’assicurazione del “benessere” dei propri dipendenti, che coinvolgono il 60% delle imprese. Ma cosa si intende esattamente quando si parla di sicurezza? Aon mette in fila i rischi che, in questa fase storica, le aziende devono gestire: in testa i rischi medico-sanitari, ma anche quelli correlati alle condizioni metereologiche estreme, poi il terrorismo e i disordini sociali e politici. Insomma, muovere il proprio personale sta diventando sempre più insicuro. Da qui una raccomandazione: riesaminare i propri programmi di gestione dei rischi di viaggio per garantire, da un lato, la tutela della salute e della sicurezza dei dipendenti e, dall’altro, l’ottemperanza alle linee guida del nuovo standard Iso 31030 europeo del 2021.
Nonostante questi cambiamenti, nel 2021 gli impiegati nelle vendite (66%) e il management (65%) hanno iniziato nuovamente a viaggiare per motivi di lavoro. Tuttavia per loro non ci sono ulteriori aspettative di crescita dei viaggi almeno fino a tutto il 2022.
In questo scenario solo due categorie di lavoratori hanno fatto eccezione: il personale tecnico e quello che si occupa di manutenzione, che non hanno mai interrotto i viaggi durante la pandemia e per i quali è atteso un incremento degli spostamenti per ragioni lavorativi.
«Guardando al business travel – rileva Michel Teunisse dell’International People Mobility (Ipm) di Aon – è chiaramente visibile una sua vera e propria riconsiderazione. I datori di lavoro si interrogano sulla necessità di viaggiare. Fattori come costi, benessere dei dipendenti e anche il clima, saranno determinanti nel decidere se un viaggio sia davvero necessario. I viaggi d’affari non spariranno e rappresentano un valore aggiunto per alcuni settori. Il mondo dopo il Covid-19 non è però più lo stesso. Ciò è evidente anche dalla continua crescita del trend del lavoro da remoto a livello internazionale. I dipendenti hanno riscontrato i benefici che il remote working può portare e vogliono continuare ad adottarlo, anche per raggiungere un miglior equilibrio vita-lavoro».
Ecco perché il 60% dei datori di lavoro ha dichiarato che il lavoro da remoto internazionale è un’opzione all’interno delle proprie organizzazioni. Esistono tuttavia una serie di ostacoli. Tra questi, la compliance (54,6%), la previdenza sociale (51,5%), e le tasse (49,5%). Il 40% infatti delle società che adottano il lavoro da remoto internazionale non hanno policy o linee guida riguardanti queste tematiche.
Serena Uccello
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